Giuliano Amato lascia la Commissione algoritmi (dopo la critica di Meloni). «Peccato, ci perdono qualcosa»

Ad annunciarlo, all'indomani della conferenza stampa della premier Giorgia, è lo stesso ex presidente del Consiglio

Giuliano Amato lascia la Commissione algoritmi (dopo la critica di Meloni). «Peccato, ci perdono qualcosa»
Giuliano Amato lascia la presidenza della Commissione algoritmi. Ad annunciarlo, all'indomani della conferenza stampa di inizio anno della premier Giorgia Meloni,...

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Giuliano Amato lascia la presidenza della Commissione algoritmi. Ad annunciarlo, all'indomani della conferenza stampa di inizio anno della premier Giorgia Meloni, è lo stesso ex presidente del Consiglio in un colloquio con il Corriere della Sera: l'organismo in questione, istituito per studiare rischi e opportunità legati all'intelligenza artificiale, «è una commissione della presidenza del Consiglio, e visto che la mia nomina non risulta essere un'iniziativa della presidente del Consiglio lascio senz'altro l'incarico».

La decisione

«Peccato, ci perdono qualcosa... Ma a me semplificherà la vita», aggiunge il costituzionalista. Amato, ieri finito nel mirino della premier per una recente intervista a Repubblica in cui avanzava dubbi e preoccupazioni per il nuovo anno, sostiene di non aver «assolutamente parlato dell'elezione dei giudici della Corte» Costituzionale. «Ho evidenziato un altro problema, come sa chi ha letto davvero l'intervista. Ho parlato dell'accoglienza delle decisioni della Corte, chiunque l'abbia eletta, e ad oggi in Italia non è mai stata la Presidente del Consiglio a porre questa questione. Hanno cominciato altri esponenti della sua maggioranza, ma non lei».

Amato nell'intervista commentata da Meloni aveva anche parlato del rischio che le Corti Costituzionali siano additate come nemiche della collettività, citando il caso della Polonia, e «ho pure detto che da noi quello che è accaduto lì ora è inconcepibile». «Certo potrebbe accadere perché non c'è nulla che lo impedisca, ma ora è ritenuto inconcepibile», ribadisce.

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Il Messaggero