Sulla proroga dello stato di emergenza la frenata è sempre più evidente. C'è una riflessione in corso. Da più parti, anche all'interno della...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LA CAPITALE
Problema: in una città come Roma (ma non solo) la prospettiva che centinaia di migliaia di dipendenti pubblici e privati continuino a lavorare da casa, senza andare in ufficio, sta causando ingenti danni a tutto il settore dei pubblici esercizi. Valter Giammaria, presidente di Confesercenti di Roma e Lazio: «Se davvero hanno intenzione di fare proseguire lo smart working per tutto il 2020, solo nella Capitale chiuderanno 6.000 esercizi pubblici. Stanno uccidendo il centro di Roma, ma non solo: non si rendono conto degli effetti devastanti. Solo il settore pubblico vale 400mila dipendenti». Limitiamoci per un attimo al solo caso Roma: ci sono bar e ristoranti la cui attività (incassi ma anche occupazione) gravitava su due pilastri, turismo e uffici. I turisti non ci sono, sono circa il 20-30 per cento di quelli presenti nel 2019 a causa del coronavirus; la fonte di incassi determinata dai dipendenti, pubblici o privati, che andavano al bar per le colazioni o la pausa pranzo, ora è scomparsa. Per questo Luciano Sbraga, di Fipe Confcommercio Roma (federazione degli esercizi pubblici) snocciola queste cifre: «La stangata che sta subendo il settore non ha precedenti; già ci sono state perdite per 200 milioni nel primo trimestre, di quasi un miliardo nel secondo con il lockdown. Se davvero si proseguirà con lo smart working le perdite rischiano di raddoppiare. Roma, soprattutto il centro, rischia di trasformarsi in un guscio vuoto, senza vita». Non va diversamente nelle altre regioni: secondo Confesercenti Campania anche il settore dell'abbigliamento sta subendo un crollo, visto che «a causa dello smart working molte persone lavorano da casa e di conseguenza c'è pochissima gente in giro, le strade dello shopping sono poco affollate».
DUBBI
Ma la proroga dello stato di emergenza, che fu dichiarato il 31 gennaio e che scadrà il 31 luglio, potrebbe avere risvolti che vanno oltre allo smart working, che comunque, come detto, può passare da altri strumenti. C'è il nodo del destino del commissario, Domenico Arcuri, c'è il tema della gestione delle riaperture delle scuole. Ma c'è anche la preoccupazione che, se in autunno dovesse ripartire (cose che nessuno si augura) l'epidemia, servirebbero strumenti molto efficaci di intervento. Al Ministero della Salute da giorni si sta riflettendo su un fatto: vi sono leggi già in vigore che consentono ad esempio l'istituzione delle zone rosse, anche per iniziativa dei presidenti di Regione. Secondo la Fondazione Gimbe (in prima linea nell'elaborazione delle statistiche legate al coronavirus) «non ci sono le condizioni sanitarie che giustifichino la proroga dello stato di emergenza». La valutazione è in corso e proseguirà in queste ore, con il ritorno da Bruxelles di Conte, che ieri ha incontrato anche il capo dello Stato. In linea teorica, se il 31 luglio non ci sarà la proroga, si potrò ricorrere in un secondo momento alla dichiarazione dello stato di emergenza se - ma nessuno se lo augura - dovesse servire a causa dell'andamento dell'epidemia.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero