Si, però. Potremmo riassumere così la posizione delle Regioni sulla riforma dei Centri dell'impiego che il vicepremier Di Maio vorrebbe realizzare il più...
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LA FOTOGRAFIA
Di Maio, dopo le prime due riunioni piuttosto vivaci, l'altro giorno ha assicurato: «Il piano nazionale sarà realizzato in accordo con le Regioni e le Province autonome, la strategia deve essere unitaria e condivisa». A tal fine ha chiesto a tutte una sorta di mappatura dell'esistente (dotazione di organico; competenze presenti; condizione delle strutture e delle dotazioni informatiche e di connettività; stock medio di utenti trattati) e dei fabbisogni (formazione, dimensionamento dell'organico necessario). Le Regioni dovranno anche indicare tempi, modalità e requisiti professionali per il reclutamento del personale, così come i tempi e le modalità per la loro formazione.
IL CONCORSO MAI FATTO
Ovviamente alle Regioni non sfugge - anche a quelle a cui il reddito di cittadinanza non piace - che questa potrebbe essere l'occasione irripetibile per dare una scossa positiva a un servizio essenziale, quello delle politiche attive, che potrebbe cambiare il futuro di tanti giovani alla disperata ricerca di un posto di lavoro. Ma nonostante l'ottimismo del governo, gli ostacoli sono tanti. Il recente passato insegna. Nel 2016, dopo il Jobs act e in vista del Rei (reddito di inclusione) il predecessore di Di Maio al Lavoro, Giuliano Poletti, varò un piano per l'assunzione a termine di 1.600 nuovi operatori nei centri per l'impiego. Ad oggi nemmeno uno è stato ancora assunto: manca il bando del concorso con i requisiti per partecipare, manco lo sblocco delle assunzioni. La domanda è: si riuscirà a fare in quattro mesi quello che non si è riusciti a fare in oltre due anni?
IL RADDOPPIO
Attualmente, è bene ricordarlo, i centri per l'impiego italiani hanno un organico complessivo di circa 8.000 unità, in Germania è di 110.000, in Inghilterra 60.000, in Francia 45.000. Quando Di Maio parla di potenziare l'organico si riferisce a quei 1.600 oppure ad altri? E quanti? Le Regioni vorrebbero almeno il raddoppio: quindi altre 8.000 unità da suddividere (come?) in tutta la Penisola. Saranno tutte nuove assunzioni o una parte dei rinforzi potrà arrivare da altre amministrazioni e/o stabilizzazioni? Il documento del ministro per adesso prevede la possibilità di usufruire «di una rete di soggetti pubblici e privati» ma solo «esclusivamente in una iniziale fase transitoria». Principio che trova in totale disaccordo la Lombardia. «Dovrebbe poter essere lasciata nella facoltà delle Regioni la scelta della definizione del proprio modello organizzativo e quindi anche della possibilità di realizzare reti di partenariato con il privato per condividere l'aggravio burocratico dei CPI» dice l'assessore al lavoro, Melania Rizzoli. E così Elena Donazzan, assessore al Lavoro del Veneto: «La Regione sta investendo molto su formazione e collaborazione tra servizi pubblici e privati, nella logica della collaborazione e non della competizione. Il nostro modello funziona, non vogliamo rivoluzionarlo». Già domani, con la presentazione della legge di Bilancio, potrebbero arrivare alcune risposte relative ai «criteri di destinazione del Fondi e le modalità di potenziamento dell'organico dei Cpi».
Intanto la settimana prossima partiranno i tavoli tecnici, così da arrivare - questo l'obiettivo del governo - a chiudere entro dicembre l'intesa con le Regioni.
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Il Messaggero