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Confindustria affonda il coltello nella carne molle delle contraddizioni del progetto autonomista portato avanti dal disegno di legge Calderoli e fortemente voluto da Veneto e Lombardia. I toni sono felpati e istituzionali, ma i concetti espressi da Vito Grassi, vice presidente degli industriali con delega alle Rappresentanze regionali, trasudano preoccupazione. A partire dalla richiesta di lasciare allo Stato la gestione di alcune «competenze strategiche», come le infrastrutture energetiche e di trasporto e il commercio con l’estero. Ma anche evitare un’eccessiva frammentazione normativa in settori come quello dell’ambiente. Per gli industriali dover far fronte a 20 sistemi di autorizzazioni diversi è una sorta di incubo a occhi aperti. E anche per questo Grassi ha chiesto «un approccio graduale nella selezione delle materie da trasferire». Una sorta di autonomia differenziata «sperimentale», anche per testare la capacità amministrativa delle Regioni a gestire le nuove competenze che chiedono. Non è sicuro, anzi non è affatto detto, che gli enti territoriali abbiano personale in quantità e di qualità per gestire funzioni che oggi appartengono allo Stato centrale. Meglio sarebbe anzi, rivedere l’intero titolo V della Costituzione nell’ambito delle riforme istituzionali. Per Grassi, insomma, non ci devono essere «fughe in avanti».
I DUBBI
Per il resto i dubbi espressi ieri in audizione in Senato dal rappresentante degli industriali, sono quelli già emersi con forza da più parti durante le audizioni parlamentari. Il primo, più importante, riguarda i soldi. Come si fa a garantire servizi uguali in tutto il territorio nazionale senza stanziare risorse aggiuntive? E come si fa, senza fondi, a ridurre i divari tra i territori? «È importante», spiega Grassi, «la determinazione dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni, ndr) e l’individuazione delle risorse necessarie a farvi fronte, ma anche la concretizzazione del principio di perequazione al fine di compensare gli squilibri sofferti dai territori con minore capacità fiscale».
Il concetto è abbastanza semplice.
I RISCHI
Quali sono i rischi? Che le «Regioni si trovino a dover assicurare prestazioni essenziali con risorse insufficienti», ha spiegato Grassi. Ed anche che venga pregiudicata «la possibilità di attribuire alle altre Regioni le risorse necessarie a garantire i Lep di loro competenza». Tradotto: che i divari nel Paese si allarghino. Ma non ci sono solo le imprese a frenare sull’autonomia differenziata. Un allarme, ieri, è arrivato anche dall’Abi, l’associazione delle banche che ha chiesto al governo di «intervenire per correggere l’eventuale attuazione della autonomia differenziata a livello regionale in materia bancaria», che sarebbe «un vulnus alle prerogative e alle competenze dello Stato nella disciplina dell’attività creditizia». Nella materia bancaria - si sostiene nel documento dell’associazione - la regolamentazione è ormai di diretta derivazione comunitaria: competenze regionali in detta materia si porrebbero in profonda distonia con l’istituzione del Meccanismo di vigilanza unico della Bce.
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