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La domanda può apparire capziosa. A chi appartengono le tasse pagate dai cittadini italiani? Facciamo un esempio. L’Irpef trattenuta sullo stipendio di un carabiniere di origini calabresi che presta il suo servizio in Veneto, deve andare alla Regione ed essere usata in quel territorio, o spetta allo Stato gestirla a vantaggio anche di altri territori, Calabria compresa.
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Autonomia, mani sull’Irpef
Da giorni in Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove sono in corso le audizioni sul disegno di legge Calderoli, il progetto per concedere l’agognata autonomia “differenziata” a Veneto e Lombardia, gli esperti stanno incrociando le lame attorno a questo quesito. Il primo a mettere chiaramente le carte in tavola, è stato Andrea Giovanardi. Professore ordinario dell’Università di Trento, è uno degli “ideologi” dell’autonomia differenziata.
Fa parte della delegazione che per il Veneto tratta con il governo le materie che lo Stato dovrebbe cedere.
IL PASSAGGIO
Una volta ottenuto, insomma, quel pezzo di Irpef “apparterrebbe” alla Regione. E cosa accade se negli anni successivi il gettito della tassa aumenta e invece il costo delle materie trasferite alla Regione resta fermo? A chi apparterrebbe il gettito extra che si forma? Allo Stato o alla Regione? Di chi sono, insomma le tasse? Giovanardi non ha dubbi. Se il gettito aumenta, dice, «la Regione potrà contare, grazie allo svolgimento del meccanismo compartecipativo, su maggiori risorse che potranno essere impiegate senza vincolo di destinazione». I soldi di quelle tasse, è la tesi, appartengono ai cittadini e al territorio della Regione e lì devono restare.
La fragilità di questo ragionamento, è stata ben evidenziata da Alberto Zanardi, uno dei maggiori esperti della materia. Già presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard e commissario dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di Bilancio, l’Authority che vigila sui conti dello Stato. «Bisogna prevedere», ha detto Zanardi, «una chiara e inequivocabile regolamentazione della dinamica dopo il primo anno». Se c’è un surplus che deriva non dal fatto che i servizi vengono gestiti in maniera più efficiente (a parità di spesa), ma solo perché cresce il gettito fiscale, allora quei soldi devono tornare allo Stato. E per una ragione anche abbastanza semplice da capire: devono essere usati per colmare i divari e permettere politiche nazionali. Più gettito extra rimane alle ricche Regioni del Nord, più i governi centrali avranno le mani legate e i divari tra i territori si allargheranno. Un rischio paventato anche da Confindustria, Bankitalia e dalla Commissione europea.
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Il Messaggero