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Ronn Moss ora canta, suona. E piace. Come sempre. In Italia sul palco del Marateale, Premio Internazionale Basilicata, la stella (mai cadente) di Beautiful (l'ultimo suo episodio in Italia in onda una decina di anni fa) si è fatto accompagnare dalla moglie, l'attrice Devin DeVasquez. E prima di far ritorno in Puglia dove è proprietario di una masseria dove coltiva vino, oltre a fare il produttore musicale e cinematografico, Ronn ha parlato a La Repubblica.
Ha parlato di tutto, a cominciare dalla sua infanzia: «Un’infanzia spericolata ma normale; oggi tutto è protetto, i bimbi crescono con troppe paure. Il gusto per l’avventura è rimasto, ogni giorno la vita ne regala una nuova. Mia moglie ed io ce lo ripetiamo: speriamo di non fermarci mai».
E fin da bambino in lui c'è la musica, prima ancora della recitazione e di una carriera che solo i suoi genitori avrebbero voluto per lui: «Ho studiato medicina, biologia, fisiologia, ho assistito ad autopsie senza battere ciglio. Sarei stato un ottimo chirurgo ma agli otto anni di università ho preferito la band. Perciò sono diventato musicista e non medico».
Con i Player e la sua "Baby come back” è arrivata ai vertici della classifica in America. «A vent’anni siamo passati dalle feste al mainstream.
Poi il primo film in Italia: “Paladini" dove si innamora del nostro Paese, poi soprattutto Beautiful. E quel indimenticabile provino: «Affittai uno smoking, non avevo nulla di elegante, ma ne trovai solo uno di due taglie più piccolo: sono arrivato con i pantaloni al polpaccio e le maniche striminzite. Stranamente quella fila di produttori sorrideva, c’era una strana energia. Prima ancora che aprissi bocca, avevano capito che ero Ridge...».
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Un successo mondiale, inaspettato, che lo ha sconvolto. Ma non come tutti gli anni trascorsi sul set, a interpretare un personaggio: Beautiful è durato 25 anni della mia vita. Ci sono stati momenti stressanti, proprio come la vita che vivevo in parallelo. Come Ridge ho avuto morti e traumi. Ho perso mio padre, diversi amici: andavo comunque al lavoro, per farmi forza, non ho perso un giorno di riprese, anche malato». Poi svela: «Tra una scena e l’altra mi è capitato di correre in camerino a vomitare. Tornavo e ricominciavo, senza un lamento: c’erano altre 200 persone il cui lavoro dipendeva da me»
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