Erano gli ultimi due tasselli che mancavano alla riforma della Pubblica amministrazione voluta dalla ministra Marianna Madia: il passaggio dalle cosiddette piante organiche ai...
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IL SECONDO TASSELLO
Se i fabbisogni servono a stabilire esattamente di quali profili professionali le pubbliche amministrazioni hanno bisogno, la riforma dei concorsi pubblici serve, nelle intenzioni, a garantire che vengano selezionate le persone giuste. Le linee guida, nove pagine messe a punto dalla Funzione pubblica, partono dalle modalità di svolgimento delle prove. Una modalità sulla quale si punta molto, è quella del corso-concorso, che «affianca alla selezione una fase di formazione competitiva». Ora vige per dirigenti e funzionari dello Stato, ma «non è esclusa la possibilità di estendere» la formula. L’altra indicazione che emerge è la preferenza per il concorso unico. È obbligatorio per la Pa centrale, almeno nelle selezione di dirigenti e profili comuni, ma si consiglia anche a tutte le altre pubbliche amministrazioni. Ad organizzarlo è il dipartimento della Funzione pubblica. Se circoscritto sul territorio può anche essere fatto su base regionale. Le amministrazioni più piccole, per cui c’è la forte raccomandazione ma non l’imposizione, possono gestire le prove in «gruppo», individuando, ad esempio, un ufficio ad hoc. Non solo, il ministero apre anche a format «misti» con le preselezioni svolte centralmente e il seguito disaggregato. In questo scenario se si opta per le domande a risposta multipla si invita a non «premiare lo studio mnemonico». Per evitare «prove eccessivamente scolastiche e nozionistiche» si suggerisce «la soluzione di casi concreti». E ancora, anche al fine di non ingolfare le commissioni, «i bandi potranno prevedere un limite al numero di titoli che ciascun candidato può presentare».
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Il Messaggero