Relazione Copasir/Gli 007 italiani: «Allarme per attacchi cyber russi»

Relazione Copasir/Gli 007 italiani: «Allarme per attacchi cyber russi»
Da mesi l’intelligence italiana guarda con molta attenzioni alle aggressioni informatiche e soprattutto all’«attivismo inrusso nel settore cibernetico». Se...

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Da mesi l’intelligence italiana guarda con molta attenzioni alle aggressioni informatiche e soprattutto all’«attivismo inrusso nel settore cibernetico». Se prima era un’indiscrezione, mai pienamente confermata, ora a fare chiarezza è la relazione annuale (e conclusiva) del Comitato parlamentare di controllo sui nostri 007. Le audizioni dei direttori dei servizi italiani contengono alcuni passaggi piuttosto espliciti. «Il terrorismo cibernetico non rappresenta una minaccia molto pericolosa, al contrario dello spionaggio cibernetico che invece si incarna in attacchi sofisticati, di tipo sia tattico che strategico, prodotti da realtà statuali con grande disponibilità di mezzi e persone», ha detto ad esempio il direttore del Dis (che coordina servizi interni ed esteri) Alessandro Pansa a novembre. E, del resto, l’attenzione all’argomento era evidente nelle parole del direttore dell’Aise, Alberto Manenti che già lo scorso marzo, quasi un anno fa, parlava di «attivismo russo sul piano internazionale con interventi a vari livelli, dai consessi internazionali ai teatri di crisi, mirati a consolidare il ruolo della Russia quale centro di influenza nel mondo». E ancora più esplicito è stato a dicembre, quando ha parlato di «attivismo russo nel settore cibernetico e negli scenari di crisi». 


Il linguaggio della relazione è estremamente prudente, visto che il documento è indirizzato al parlamento, ma alcuni dati citati fanno capire la direzione in cui si muove l’intelligence. Su sei missioni all’estero - ad esempio - il Copasir nel 2017 ne ha dedicate ben due a paesi Nato dell’est, Ungheria e Ucraina. Soprattutto nel secondo caso, le dichiarazioni raccolte vanno filtrate nell’ottica di un complicato conflitto, ma il comitato cita le parole di Oleksander Lytvinenko, vice segretario del Consiglio di difesa: «L’interventismo russo è particolarmente preoccupante in ambito cibernetico. A suo giudizio il paese è divenuto una sorta di poligono per gli attacchi cibernetici», averebbe detto agli italiani in visita. 

IL TERRORISMO

Sul piano del terrorismo internazionale e della sicurezza per il paese, la relazione sfata alcuni miti. Più che i «returnees» da Iraq e Siria, a preoccupare il direttore Pansa sono «i radicalizzati homegrown (cresciuti qui)», mentre «le carceri rappresentano l’ambiente in cui maggiormente alto è il rischio di radicalizzazione». Stesa analisi da parte del direttore dell’Aisi, Mario Parente: «Non si è registrato un rientro massivo in Europa dei foreign fighters» , tanto più che, stando all’ultimo monitoraggio registrato dall’intelligence, i combattenti partiti dall’Italia al momento sono in tutto 129, di cui 42 deceduti. I soggetti monitorati finora possono essere divisi in tre categorie: «Giovani, anche minorenni, in arrivo in Europa attraverso i flussi e inizialmente non radicalizzati; soggetti transitati in Italia per raggiungere i luoghi della jihad; soggetti già connotati all’estero per posizioni radicali». L’attenzione alle possibili aggressioni interne ormai riguarda stabilmente tanto i gruppi anarchici, controllati da sempre, quanto i gruppi di estrema destra. Le minacce più «concreta e pericolose» per il paese, però, almeno a detta del capo della Polizia Franco Gabrielli, non sono nel terrorismo, estero o interno che sia, ma nella «criminalità organizzata con i suoi costanti tentativi di espandersi al di fuori dei contesti di origine».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero