Addirittura, nei mesi addietro, fu anche oggetto di smentita ufficiale del Campidoglio: «Quanto ricostruito non è vero: la sindaca non ha pianto». Quando poi,...
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LE CRISI
In Comune lo chiamano, con perfidia, «muro del pianto». E fanno coincidere gli sfoghi, pubblici e privati di Virginia, a precisi snodi politici dentro al M5S a cui la città sta assistendo, depressa e sconsolata, da mesi. La prima volta a settembre. «Eravamo riuniti - ricorda un consigliere - nella sala della Protomoteca: il mini direttorio stava per lasciare, si erano dimessi Minenna e Raineri, e Virginia sbottò: basta, non ce le faccio più». Poi sono arrivate altre lacrime che hanno avvolto serate di lunghi coltelli e nottate ad alto stress per il Campidoglio, niente di nuovo. Ma a mister Ignazio Marino, protagonista di altrettanti momenti concitati tutti adesso riconoscono una freddezza chirurgica da uomo di gomma: «Gli rimbalzava tutto addosso», sottolineano diversi democrat. La grillina non è così. E, dopo l’iniziale sicumera del debutto, si mostra permeabile a una situazione che, flaianamente, è grave (per Roma) e seria (per lei). E allora non ci resta che piangere? Nei fatti così è stato per l’addio a Paola Muraro (difesa l’impossibile) ma anche le ore subito dopo l’arresto del fedelissimo Raffaele Marra, trascorse a ostentare con «costruita freddezza» (è sempre un consigliere comunale a parlare) e sfoghi con i superstiti del «Raggio magico». Lacrime personali e politiche che non sono quelle di un sindaco davanti al proprio paese colpito dal terremoto, ma semmai nascondono l’agitazione di chi vive in un Palazzo che vibra per altri motivi.
LA SOLITUDINE
Ecco, il pianto della Vigilia va visto politicamente anche così. Lacrime di solitudine - i nemici interni le chiamano di «coccodrillo» - per chi è costretto ad andare avanti, senza più «Raggio magico», sotto la pressione dei vertici del M5S. Che in privato rimasticano un vecchia logica del Pci e definiscono Virginia, non una compagna, ma mutatis mutandis, «una grillina che sbaglia». Cercando nella mala sorte di dividere le strade: lei è lei, ma noi siamo altro, siamo il MoVimento. Un’operazione smarcamento, che non regge più. Uno dei consiglieri pentastellati che la settimana scorsa ha convinto «Beppe» a non togliere il simbolo apre la braccia: «La situazione è difficile, speriamo che le feste l’abbiano aiutata. Vediamo cosa uscirà dall’inchiesta di Marra e se le arriveranno avvisi di garanzia». Ormai si parla così, senza timori reverenziali. Scenari ansiogeni per chiunque. Soprattutto per chi si è sempre vantata di non avere scuola politica alle spalle. Una decina di giorni fa altro episodio. Riunione di giunta, due assessori iniziano a battibeccare, la sindaca assiste impassibile, poi esce dalla sala, va nel suo ufficio, ritorna dopo una decina di minuti «più calma ma con gli occhi lucidi». Una fragilità politica che passa anche da questi episodi, che evidentemente hanno colpito gli assessori. Gli stessi che adesso che riguardano il video della Caritas e confermano: «E’ un momento complicato, è un momento un po’ difficile». Per Roma lo è da mesi, per Raggi lo è sempre di più nell’ultimo periodo.
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Il Messaggero