«Le ore che stiamo vivendo hanno il suono della nostalgia. Un sentimento che accompagna queste nostre giornate di solitudine e di lontananza. Non va rimosso. Anzi, credo che...
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Antonio Pappano, direttore d’orchestra italo-britannico (nato in Inghilterra da genitori italiani emigrati), 60 anni, baronetto, al momento è un musicista lontano dal suo “strumento”. Da quando sono stati chiusi i teatri, sono diventati distanti i suoi professori dell’Accademia di Santa Cecilia, dove è direttore musicale dal 2005, e della compagine inglese del Covent Garden che dirige dal 2002. Nel suo appartamento londinese, insieme con la moglie musicista, Pamela Bullock (hanno cominciato insieme come maestri sostituti), cui è legato dal 1995, aspetta di poter riprendere la sua bacchetta e riavvicinarsi al suo strumento umano, composto da decine di suoni, persone, «adorati colleghi che mi mancano al punto di sentirmi persino un po’ patetico».
Come coltiva la sua nostalgia?
«Tornando alle origini. Indietro nel tempo. Mi sono messo al pianoforte. Con Beethoven che è un ottimo compagno di vita. In questo periodo, anche per l’anniversario in corso dei 250 anni dalla nascita, mi sto godendo tutti i suoi spartiti. E’ così umano quello che trasmette. Allinea tutti i conflitti che ognuno di noi affronta quotidianamente. Ti carica di speranza. E oggi, serve».
Beethoven e quali altri compositori propongono secondo lei la migliore colonna sonora di questo periodo?
«Oltre a Beethoven, io direi Sibelius.
Riposo, magari ascoltando concerti in streaming: lei che cosa propone online?
«A Santa Cecilia lavoriamo già da giorni e abbiamo un programma giornaliero con esecuzioni preziose, selezionate dalle scorse stagioni. Questa settimana sarò “sul podio” giovedì 26 con Berlioz, la Grande Messe des Morts, un arsenale di suoni. Venerdì con Beethoven, registrato durante la tournée a Mosca, un anno fa. E sabato, con Martinu, Poulenc e Mozart con le sorelle Labèque. Qui, a Londra, per il Covent Garden, con una telecamera che ho a casa, sto preparando degli interventi introduttivi ai vari concerti che via via verranno proposti».
Che opportunità offre lo streaming?
«Nasce da una necessità. Quella di riempire il vuoto causato dal lockdown. Offre la possibilità di riscoprire tesori del passato, spartiti rari, di riascoltare meglio alcuni passaggi. Ma non sarà mai la soluzione del futuro. Non potrà mai sostituire lo spettacolo dal vivo. E soddisfare quel desiderio di comunione che ci porta a uscire di casa per condividere un’esperienza. La sala, quando si abbassano le luci, diventa la nostra comunità, la famiglia culturale. Sul divano non c’è e non ci sarà mai la stessa intensità».
Lei solitamente trascorre le sue vacanze di Pasqua in Italia, sul Lago Trasimeno...
«Non vedevamo l’ora di trasferirci in Umbria. Stavo portando a termine gli impegni al Covent Garden quando è scoppiata l’emergenza anche qui. Ed eccoci qui. Tra l’altro soffro di asma. Devo stare al riposo, al sicuro. Mi mancherà molto la campagna, la Pasqua italiana. Ma bisogna aspettare, stare in casa e rispettare le regole dettate dall’emergenza. Però, possiamo, dentro di noi capovolgere la pesantezza della reclusione e trasformarla in opportunità. Considerando la nostalgia un archivio prezioso da cui attingere sorprese e tesori». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero