Non c'è dubbio, il cantante più David Bowie della musica italiana è una donna (a conferma dell’ambiguità che aveva quel personaggio),...
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Ci racconta quando vi siete incontrati? «Quando David venne a Roma per registrare la versione italiana di Space Ooddity. Aveva preso in affitto una villa sull’Appia antica con la piscina. Si divertiva a stare a Roma per un po’. Era conla moglie e sono andata alcune volte a trovarli. Il collegamento erano i miei musicisti, che erano inglesi e conoscevano David. Poi ci siamo rivisti anche in Inghilterra. Insomma, siamo rimasti amici».
Che tipo era Bowie? «Squisito, ironico, intelligente, curioso. Gli piaceva parlare di musica. Ma ci divertivamo anche a dire sciocchezze come si fa fra colleghi».
Ma esiste un'affinità artistica fra voi due? «Il mio personaggio è stato sempre considerato un po' androgino, forse perché ho poche tette...».
Musicalmente le piaceva? «Soprattutto il primo periodo. Poi ho apprezzato la fase americana, quella di Let's Dance. E, naturalmente, quella tedesca, con Heroes».
Ha insegnato a molti il gusto teatrale nel fare il rock. «Aveva fatto anche la scuola di mimo e sapeva come muoversi in scena. Allora, comunque, era un’epoca in cui era facile truccarsi e inventarsi delle cose. E lui lo ha fatto piuttosto bene».
Sapeva della sua malattia? «No. Avevo visto tempo fa un video in cui aveva la faccia stravolta, sapevo che aveva avuto problemi, ma non che fosse così grave».
Ha voluto tenere nascosta la sua malattia fino all’ultimo. «E penso che abbia fatto bene. È una gran perdita. È un periodo sfortunato per il rock, c'è una vera e propria moria. Bowie era pazzesco. Mi dispiace anche perchè era giovane, praticamente coetanei, anche se ho un anno meno di lui. Ma c’è poco da stare a piangere. Penso che sia meglio dirgli grazie per quello che ha fatto. E, oltretutto, andandosene ci ha lasciato un bel regalo musicale». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero