Duecento anni fa, il 20 gennaio, al Teatro Argentina andò in scena la prima del «Barbiere di Siviglia», di Gioachino Rossini; e, lo sanno tutti, fu un fiasco...
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LE FONTI Ma anche quel primissimo tonfo, breve come un fulmine, va ridimensionato. Ne esistono solo quattro fonti autentiche e immediate: due lacunose annotazioni di nobili, che parlano una di «esito infelice», l'altra di un'opera «fischiata»; e due lettere di Rossini alla madre che fanno parte di quelle ai genitori recentemente trovate e che hanno arricchito il suo epistolario. Nella prima scrive: l'opera «fu bellamente fischiata; o che pazzie, che cose straordinarie si vedono in questo Paese sciocco», e avvisa che il giorno dopo «si sentirà la Musica, cosa che non accadde ieri sera, dal principio alla fine non fu che un immenso sussurro che accompagnò lo spettacolo». L'altra lettera è di cinque giorni dopo: l'opera «ha avuto un esito il più fortunato, la seconda sera e tutte le altre non hanno che applaudito questa mia produzione con un fanatismo indicibile, facendomi sortire cinque o sei volte a ricevere applausi di un genere tutto nuovo e che mi fece piangere di soddisfazione».
Il racconto dell'unico testimone diretto, la cantante Geltrude Righetti-Giorgi, è di sette anni successivo agli eventi: risponde all'articolo di un «giornalista inglese», che si scoprirà essere Stendhal sotto mentite spoglie, ed è pieno di un'autentica «verve» da prima donna. Se Stendhal inventa, la Righetti-Giorgi inserisce nel suo racconto qualche «fioritura» di troppo. Non è molto credibile che il tenore Manuel Garcia abbia introdotto ariette spagnole: forse qualche aggiunta, ma non tale da pregiudicare l'esito della serata. E la leggenda si è poi alimentata con altre invenzioni. Per cui il tonfo iniziale deriva, assai più probabilmente, da un cumulo di cause: un poeta rifiutato cui se ne aggiunge un altro all'ultima ora, che accetta di «mal animo»; una compagnia rimediata, sia pure al meglio, in extremis; anche un impresario che era in crisi: il duca Francesco Sforza Cesarini muore a 44 anni, pochissimi giorni prima dell'esordio. Sterbini fu colpito in modo tale dal fiasco da ritirarsi da un mestiere che non conosceva proprio: peccato, perché il libretto del «Barbiere» è parte integrante della gloria del capolavoro assoluto. Sterbini consegna la prima parte del testo di «Almaviva o sia L'inutile precauzione» in otto giorni; e la seconda dopo altri quattro, a riprova della fretta con cui l'opera si mette in scena. Da quel tonfo, un fiasco divenuto leggenda e molto incrementato rispetto al reale (il gatto nero che traversa la scena e il tenore che canta con il naso rotto per una caduta non trovano, ad esempio, alcun riscontro), sono seguiti due secoli di ininterrotta fortuna. Di questa opera profetica; si potrebbe dire, «de l'avenir».
*Accademico di Santa Cecilia Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero