«L’Isis in Libia si sconfigge solo militarmente, ma qualsiasi intervento senza un accordo tra le fazioni di Tripoli e Tobruk sarebbe per l’Italia la più grande iattura, fra...
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L’Isis sta conquistando terreno o no? «Più che un’avanzata dell’Isis, c’è in Libia il caos totale. A Bengasi come a Misurata non c’è gruppo che riesca a prendere il sopravvento. A Sirte la popolazione è disperata, anche ragazzi con una vita normale hanno preso il fucile e sono scesi in strada. Il New York Times racconta di padri di famiglia che sparano contro il Califfato. A quanto pare, l’Isis controlla solo il quartiere numero 3, a Sirte Est».
I libici si ribellano all’Isis anche perché lo percepiscono come non libico, che viene da fuori? «In parte è un fenomeno portato da fuori, in parte vi aderiscono elementi locali. La rivolta dei padri di famiglia e dei ragazzi rende l’idea del crollo della statualità in Libia. A Derna, per esempio, c’è un’alternanza continua: fino a qualche mese fa comandava l’Isis, poi scacciato da altri estremisti islamici. Nessuno ha armi a sufficienza per sottomettere gli altri. Questo si deve all’embargo internazionale di armi verso Tobruk e Tripoli. Anche i bombardamenti aerei sulle postazioni dell’Isis a Sirte hanno avuto scarsi effetti: i velivoli erano troppo vecchi».
Come mai il governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk si appella alla Lega Araba per raid contro l’Isis, invece che a noi? «È uno schiaffo all’Europa. Il governo di Tobruk ha implorato per mesi la Ue e l’Italia di sospendere l’embargo delle armi e dagli appelli conciliatori è passato a toni più duri. Oggi si rivolge direttamente alla Lega Araba. Ma la scelta della Ue è stata giusta, se l’Europa avesse consentito di vendere armi a Tobruk la guerra sarebbe diventata ancora più sanguinosa. Tripoli, per reazione, si sarebbe scatenata. E Tobruk avrebbe usato le armi non solo contro l’Isis ma contro le milizie avversarie di Tripoli».
E l’appello dei 6 Paesi all’unità nazionale libica contro l’Isis, ma escludendo l’opzione militare, come va letto? «Il comunicato risponde a esigenze diplomatiche. Se Tripoli e Tobruk non si accordano su un governo di unità nazionale non è possibile neppure una soluzione militare, l’unica possibile contro l’Isis. Bernardino Leon, l’inviato dell’Onu, si è fatto in quattro per un accordo, ma le potenze occidentali non hanno investito con offerte abbastanza allettanti per Tobruk e Tripoli. Il fatto che solo Tobruk sia riconosciuta a livello internazionale ha limitato la volontà d’intesa di Tripoli, che infatti in Marocco non ha messo la sua firma».
La soluzione militare è tecnicamente o politicamente impossibile oggi? «Sarebbe la più grande sciagura per l’Italia, che diventerebbe un bersaglio dei terroristi islamici. C’è un rapporto di causa-effetto e tutti gli studi lo confermano, secondo una logica schiacciante: i terroristi colpiscono chi li colpisce. Un intervento frontale dell’Italia muterebbe l’atteggiamento dell’Isis e ci esporremmo molto. Ci sarebbero morti tra i nostri soldati e siccome la nostra opinione pubblica ha una forte vocazione pacifista, ci sarebbero ripercussioni sulla politica e sulla stabilità interna. Eppure, non c’è alternativa a un intervento militare in Libia contro l’Isis. Il problema è quando. La logica dell’Isis è vincere o morire».
Quanto è forte il rischio di terroristi lupi solitari in Italia? «Impossibile prevederlo.
Il Messaggero