ROMA - L’elettrificazione “leggera” o “morbida” premia. Lo sa bene Suzuki che, grazie al suo sistema SVHS (Smart Hybrid Vehicle Suzuki) ha dato ha...
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Il sistema pesa solo 6,2 kg e prevede un motorino di avviamento/alternatore più potente del solito (2,3 kW e 50 Nm) che provvede a dare una spinta supplementare in ripresa e riavviare il motore dopo le soste con l’energia recuperata in rilascio e inviata ad una mini batteria agli ioni di litio nascosta sotto il sedile del guidatore.
Un piccolo contributo all’ambiente, ma ancora più grande per le tasche dell’automobilista che può essere accoppiato ai motori a benzina (3 cilindri mille da 111 cv o 1.2 da 92 cv) e persino GPL e alle versioni dotate di trazione integrale, altro cavallo di battaglia di Suzuki insieme alle vetture piccole e leggere, dunque naturalmente efficienti. Questo consente alle Suzuki di avere emissioni medie di 90,3 g/km di C02 e dunque di essere già abbondantemente in linea con l’obiettivo di 95 g/km di CO2 previsto dalla Commissione Europea per il 2021. Ma l’ulteriore riduzione del 35% fissata per il 2030 obbliga ad un’elettrificazione ancora più spinta, in alcuni casi completa, anche sfruttando l’alleanza con Toyota partita nel 2016.
Un salto tecnologico che ha bisogno di un grande sforzo economico, ma che non può fare paura ad un produttore da 3 milioni di auto all’anno e soprattutto capace di sviluppare un utile netto superiore al 10%, in crescita del 40%, su un fatturato di 28,9 miliardi di euro, il 4,3% già investito in attività di ricerca e sviluppo.
Quali saranno le prime Suzuki elettriche e quando le vedremo? Difficile dirlo: magari sarà la Jimny, uno dei simboli del marchio di Hamamatsu la cui quarta generazione viene lanciata in questi giorni sul mercato rinnovando un mito che resiste da 50 anni e non si lascerà distruggere facilmente dal futuro. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero