Patenti facili, sequestrate cinque autoscuole. Coinvolti 11 pubblici funzionari, due arresti

Guardia di Finanza
REGGIO CALABRIA - Patenti facili a Reggio Calabria: sono 71, di cui 11 pubblici funzionari, le persone indagate nell'operazione "Senso Unico" condotta dai finanzieri...

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REGGIO CALABRIA - Patenti facili a Reggio Calabria: sono 71, di cui 11 pubblici funzionari, le persone indagate nell'operazione "Senso Unico" condotta dai finanzieri del Comando provinciale con il coordinamento del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dell'aggiunto Gerardo Dominijanni e dei pm Sara Amerio e Nunzio De Salvo. Al blitz hanno partecipato anche i finanzieri del comando provinciale di Pistoia e Brescia. 

C'è chi avrebbe superato la prova teorica a quiz con procedura informatica addirittura con pc spento o, come è accaduto ad una candidata, perfino rimanendo fuori dall'aula d'esami. O, ancora, utilizzando auricolari miniaturizzati senza fili. Erano diversi gli escamotage messi in atto dal "sistema" scoperto dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria e che ha fatto emergere l'esistenza di un'associazione a delinquere, composta da 13 soggetti di cui facevano parte titolari e dipendenti di autoscuole e funzionari pubblici.  Le indagini del Nucleo di polizia economico-finanziaria hanno riguardato condotte illecite realizzate da alcune autoscuole nelle province di Reggio Calabria, Pistoia e Brescia.

Beneficiari del sistema sono risultati vari soggetti, soprattutto di origine straniera, spesso con palesi difficoltà a leggere e comprendere la lingua italiana e privi di adeguata preparazione teorica e pratica. Il sistema era semplice: per far superare l'esame di guida i componenti di quest'associazione a delinquere avrebbero organizzato ogni minimo particolare, a partire dalla scelta dell'esaminatore più "comodo" che in numerosi casi compilava direttamente i quiz riservati ai candidati. Quando non avveniva ciò l'omissione di vigilanza, consentiva agli aspiranti patentati l'utilizzo di apparecchiature elettroniche o telefoni cellulari, ovviamente non ammessi, per poter ricevere le risposte esatte. Un servizio completo che fruttava agli indagati compensi fino a 14mila euro.

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Il Messaggero