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È tutta questione di punti di vista. Da Washington la pressione militare russa attorno all’Ucraina è vista come il frutto del ritrovato protagonismo di Putin sullo scacchiere mondiale: dall’invasione della Georgia nel 2008 al salvataggio a suon di bombe del regime di Assad in Siria nel 2015, dal sostegno al generale Haftar in Libia alla presenza militare nella fascia sub-sahariana in Africa al fine di riconquistare influenza laddove i francesi stanno arretrando.
Ucraina, l'Europa si prepara a flusso di migranti e rifugiati con la nuova agenzia (anche in Italia)
Il Mediterraneo
Ma se per gli americani il centro della politica estera è nel Pacifico, per la Russia l’Europa e il Mediterraneo restano fondamentali per la costruzione della sicurezza nazionale. E così Putin ha tirato fuori dagli armadi polverosi della storia il vestito buono dell’orgoglio nazionale ed è finita l’assuefazione all’allargamento della Ue e della Nato verso Est. «Mentre dalla fine degli anni ’90 la Russia si limitava a osservare questa progressiva espansione, nel 2013 la situazione era cambiata, Mosca era di nuovo sufficientemente forte per dire basta all’allargamento». Testimone di questa trasformazione è Cesare Ragaglini, ambasciatore d’Italia a Mosca dal 2013 al 2017. «La Ue - dice - con la sua partnership orientale aveva provato a strappare Kiev all’influenza russa con l’associazione alla Ue, propedeutica all’ingresso nella Nato: schema che ha funzionato per Polonia, Ungheria, Baltici... Paesi che vedevano l’adesione all’Unione come un’opportunità di sviluppo, ma per i quali l’ingresso nella Nato era molto di più: la garanzia della loro sicurezza. E perciò guardano ancora oggi più a Washington che a Bruxelles». Ma l’Ucraina non è paragonabile ai Baltici. «Sono inestricabili i suoi rapporti economici, politici, sociali, familiari, culturali e religiosi con la Russia, lo strappo non sarebbe stato indolore. Così, quando si è trattato di firmare l’accordo con la Ue, il leader ucraino filo-russo Yanukovich ha fatto marcia indietro: fu proprio l’Italia ad avvertire gli alleati e a sollecitare un Piano B. La Commissione europea rispose che o Yanukovich firmava o saltava tutto. Così è stato. Gli ucraini scesero in piazza, arrivarono a Kiev commissari e ministri europei, alla fine fu siglata una mediazione. La notte stessa vennero assaltati i Palazzi del governo e i russi, a quel punto, decisero di “mettere in sicurezza” la Crimea, che non solo appartiene storicamente alla Russia ma i cui abitanti sono all’80 per cento russi».
La rivolta
E partì la rivolta nel Donbass fino agli accordi di Minsk. Che cosa vogliono i russi “circondando” oggi l’Ucraina? Primo, scongiurarne l’adesione alla Nato. Nessun Paese può entrare nell’Alleanza se al proprio interno c’è una conflittualità militare.
La politica intrerna
«Contano pure i fattori di politica interna americana - dice Ragaglini - ossia la caduta drastica di Biden nei sondaggi, il tentativo di inchiodare gli europei alla solidarietà atlantica anche quando minacce serie non ve ne sono, la rivalità con la Russia indicata come Paese aggressore quando un attacco russo danneggerebbe proprio Mosca, che perderebbe la valuta pregiata europea». Ma è anche vero che il “contagio” democratico del mondo ex sovietico con una Ucraina sempre più occidentale, sarebbe di per sé una minaccia per il regime di Putin. Che adesso, per acquistare più carisma in casa, potrebbe marciare su Mariupol, sul Mare d’Azov, per dare continuità a Crimea e Donbass. Certo, a rimetterci in caso di conflitto, oltre alla Russia e all’Ucraina, sarebbero anzitutto Paesi come Germania e Italia.
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Il Messaggero