TikTok verso il bando negli Usa: «Spie comuniste di Pechino»

TikTok verso il bando negli Usa: «Spie comuniste di Pechino»
NEW YORK La popolare piattaforma di video sharing TikTok potrebbe essere la prossima vittima della guerra commerciale tra gli Usa e la Cina. Negli ultimi giorni il presidente...

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NEW YORK La popolare piattaforma di video sharing TikTok potrebbe essere la prossima vittima della guerra commerciale tra gli Usa e la Cina. Negli ultimi giorni il presidente Donald Trump e il suo ministro della Giustizia William Barr hanno attaccato più volte la app e l'azienda cinese che ha alle spalle: la ByteDance, con l'accusa di usare TikTok come un' esca per raccogliere i dati personali degli utenti, e trasferirli all'intelligence del governo di Pechino.


LA MINACCIA
Il presidente Trump ha annunciato che la sua amministrazione sta studiando misure punitive, che potrebbero culminare con il bando dal mercato Usa. Sarebbe sufficiente inserire TikTok o la ByteDance nella lista nera delle aziende che il dipartimento di Stato mette all'indice, e con le quali le società statunitensi non possono fare affari. A quel punto Apple e Google non potrebbero più fornire aggiornamenti di software, e la piattaforma sarebbe tagliata fuori dal mercato, come è già successo alla Huawei.

Il Pentagono ha già chiesto a tutti i suoi dipendenti che avevano installato la app, di cancellarla dai propri portatili e dai cellulari. È difficile stabilire quanta parte della denuncia abbia davvero a che fare con la sicurezza nazionale, o piuttosto con il desiderio degli Usa di flettere i muscoli, e rintuzzare le ambizioni dell'azienda cinese di affermarsi sul mercato globale.

IL PRIMATO
TikTok è l'evoluzione del sito Musical.ly, che la ByteDance ha comperato due anni fa, arricchendolo di altre funzioni che hanno permesso di passare da una versione video del tradizionale karaoke, ad uno strumento ideale per chi vuole diffondere brevi filmati musicali. Negli ultimi due anni la app è stata la più scaricata nel mondo, (2 miliardi di volte), ed è usata oggi da un miliardo di utenti unici. I proprietari sono ben coscienti del pregiudizio diffuso all'estero contro le aziende cinesi nel campo della comunicazione. Una legge del governo centrale di Pechino lega chiunque opera nel settore a collaborare con l'intelligence nazionale. TikTok non è presente in Cina, ma la sua gemella Douyin ha accettato di censurare contenuti che facciano riferimento alla protesta di piazza Tienanmen, o al culto clandestino Falun Gong. ByteDance ha collaborato per suo conto con il governo nella repressione della popolazione iugura nella provincia di Xinjiang.

SEDE A LOS ANGELES
Per tutti questi motivi, e in previsione di possibili ostilità all'estero, la sede centrale di TikTok è stata separata e portata a Los Angeles. È stato nominato un manager statunitense: Kevin Meyer, ex Disney, e a Washington sono stati assicurati i servizi del lobbista David Urban, uno degli ex capi della squadra elettorale di Donald Trump. Molti, anche se non tutti i server sui quali gira la app sono a loro volta stati localizzati tra Singapore e gli Stati Uniti. Tutto questo non è bastato. Il segretario della Giustizia William Barr ha suggerito che solo la vendita in mani estere potrebbe salvare TikTok.

Una misura che salverebbe tra l'altro la faccia al governo Usa, a sua volta sospettato di stare montando tutta questa campagna accusatoria senza mostrare uno straccio di prova dell'attività di spionaggio che imputa all'azienda cinese.


È difficile infine separare la vicenda particolare dalle pressioni che l'amministrazione Trump sta esercitando sull'intero comparto. Barr ha accusato due giorni fa Apple, Yahoo, Google e Microsoft di essere delle «pedine nelle mani dell'influenza cinese», e di aver sacrificato i valori nazionali degli Usa per l'obiettivo del profitto a corto raggio, e ha rinfacciato alla Cisco di «aver collaborato alla costruzione di una Grande muraglia cinese telematica, fatta di censura e di spionaggio degli utenti cinesi dell'Internet». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero