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Nessun attacco diretto all’acciaieria Azovstal. Vladimir Putin dichiara che la città di Mariupol è ormai in mani russe, ma l’impianto dove si trovano asserragliati almeno duemila uomini va solo accerchiato e, al momento, non colpito. Deve essere circondato al punto tale che «neanche una mosca possa passare», tuona lo zar. E questo perché con il territorio intorno all’acciaieria “cristallizzato”, il Cremlino può dichiarare una rapida vittoria sul resto della città e liberare militari e armi da impiegare nelle campagne che sta lanciando altrove, nel Donbass e nelle città del sud-est del Paese.
Putin: «Mariupol è nostra»
La presa della città è stata annunciata da Mosca nella mattinata di ieri e, come sta accadendo per qualsiasi cosa in questa guerra, sono arrivate repliche e smentite. «Non possono prendere fisicamente Azvostal - ha dichiarato il consigliere presidenziale ucraino Oleksiy Arestovych - e questo lo hanno capito chiaramente. Hanno subito enormi perdite in quella zona. La nostra resistenza continua a tenere duro». Stessa reazione dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky e anche dal presidente Usa Joe Biden, che non hanno confermato la conquista di Mariupol da parte dei russi. «È solo uno show», ha dichiarato Biden. «Sono certo che gli occupanti non si fermeranno fino alla completa distruzione di chi si trova all’interno di Azovstal - ha scritto su Telegram il consigliere del sindaco, Petro Andryushchenko -. Solo un intervento esterno e garanzie di sicurezza da parte dei nostri partner stranieri potranno salvare la situazione». «Ci sono attacchi aerei, bombardamenti continui - ha confermato anche il vice sindaco di Mariupol, Sergei Orlov - Ma non è ancora caduta».
C’è di vero che già da qualche giorno nella città sono comparse le bandiere della repubblica separatista di Donetsk. E che molte delle forze speciali di Mosca stanno lasciando il territorio per dirigersi verso il Donbass, dove si prevede una battaglia ancora più violenta.
IL COLLOQUIO
Ed è per questo che, ieri, Putin ha deciso di mostrare in televisione il colloquio con il ministro della Difesa russa Sergey Shoigu, nel quale il generale lo informa ufficialmente della conquista della città. E da qui la comunicazione del presidente di annunciare il blocco dell’operazione contro Azovstal, ma anche di non consentire in quella zona alcun movimento. Il Cremlino ha nuovamente offerto la resa a chi è ancora asserragliato nell’impianto. «Se usciranno avranno salva la vita», hanno ripetuto. Gli altri, è il piano di Mosca, verranno soffocati lentamente, finché non resteranno senza rifornimenti e saranno costretti a deporre le armi.
GLI INTERESSI
La situazione pare restare immobile. È ormai chiaro che intorno ad Azovstal si muovono delicati equilibri.
LA PROPAGANDA
Nel messaggio di propaganda russo sono stati citati anche i corridoi umanitari che, secondo Shoigu, sono stati aperti ogni giorno, con 142.700 persone evacuate. Cifre che sono nettamente in contrasto con tutte le immagini e i video che arrivano da quelle zone. Dei 90 autobus che avrebbero dovuto lasciare la città ne sono partiti pochissimi. Sono arrivati a Zaporizhzhia, ma per molti non sarà un allontanamento definitivo. «Noi torneremo nelle nostre case - hanno dichiarato - Mariupol non diventerà mai russa».
Per Mosca ci vorranno ancora dai tre ai quattro giorni prima di prendere il possesso anche dell’acciaieria. «In questo caso - ha dichiarato lo stesso Putin nel video diffuso dalle tv russe - bisogna pensare a salvare la vita e la salute dei nostri soldati e ufficiali». E infatti espugnare Azovstal potrebbe voler dire trovarsi davanti mine e trappole predisposte da chi, da settimane, si è asserragliato all’interno. L’impianto e la sua rete di tunnel sotterranei stanno fungendo da rifugio e resistenza finale per migliaia di combattenti ucraini, inclusi molti del Battaglione Azov, una delle unità militari più abili e controverse dell’Ucraina. Inoltre, ben 1.000 civili si nasconderebbero nella rete sotterranea, se è vero quanto ha riferito su Telegram il consiglio comunale di Mariupol. «Sotto la città, c’è praticamente un’altra città», ha spiegato Yan Gagin, un consigliere del gruppo separatista filo-Mosca della Repubblica popolare di Donetsk. Gagin ha ammesso che il sito è stato progettato per resistere a bombardamenti e blocchi e che ha un sistema di comunicazione integrato che favorisce fortemente i difensori, anche se sono di gran lunga in inferiorità numerica. Intanto le autorità locali ucraine denunciano una vera e propria strage: «Fino a 9 mila morti in una fossa comune a Manhush», località a 20 km da Mariupol.
LE NEGOZIAZIONI
Sul piano diplomatico si continua comunque a trattare una via d’uscita, dopo l’offerta dei negoziatori di Kiev di recarsi nella città. I combattenti del reggimento Azov e i marines ucraini, che hanno sempre rifiutato di arrendersi, hanno chiesto di essere portati in un Paese terzo, con la Turchia già candidata a inviare una nave per sbloccare lo stallo. Anche perché la clessidra, adesso, scorre e non in loro favore. La situazione, ha spiegato l’ad dell’acciaieria, Yuriy Ryzhenkov, è «vicina alla catastrofe. Quando è iniziata la guerra avevamo immagazzinato una buona scorta di cibo e acqua nei rifugi antiaerei e nelle strutture dell’impianto - ha affermato -. Purtroppo, tutto tende a esaurirsi». In più di 50 giorni di martellamento russo, Mariupol è stata devastata, con il 90% degli edifici danneggiati o distrutti. La conta delle vittime civili - oltre 20 mila secondo le autorità locali - resta frammentaria e incerta. Anche perché, al calare delle ostilità, emergono nuove atrocità. «I nostri cittadini - ha denunciato ancora il sindaco - hanno riferito che a Mangush, vicino Mariupol, i soldati russi hanno scavato una fossa comune di 30 metri e portato dei corpi con i camion».
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Il Messaggero