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Marianna ha partorito giovedì sera: è nata una bambina. È una delle future mamme messe in salvo dopo il bombardamento dell'ospedale di Mariupol. La sua immagine ha fatto il giro del mondo. L'azione russa ha suscitato lo sdegno internazionale. Il governo di Putin ha replicato: è tutta una finzione, anche se le immagini erano eloquenti. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, sostiene che nell'ospedale bombardato a Mariupol non c'erano pazienti. È lo stesso che dice, imperturbabile, che l'esercito russo non ha mai invaso l'Ucraina.
NEGARE SEMPRE
La propaganda russa, sui social, ha una tradizione consolidata che ha raccolto la solida eredità di quella dell'Unione sovietica. Così, di fronte alla foto di una donna incinta che veniva portata via dalle rovine dell'ospedale bombardato, ha cercato un pretesto per negare l'evidenza (una specialità della casa). Poiché una delle pazienti in stato interessante era una popolare influencer di Mariupol, Marianna Podgurskaya, le autorità russe hanno dichiarato, cinicamente, che era un'attrice, come se una ragazza popolare su Instagram non potesse aspettare un bambino. Bastava andare sul suo profilo per verificare che già due settimane prima Marianna aveva pubblicato la sua foto con il pancione, in cui era evidente che al giorno del parto non mancava tanto.
CONDANNA
All'Onu l'inviato russo ha continuato a sostenere che non c'è stato nessun bombardamento, malgrado le immagini viste da tutto il mondo. Il bilancio delle autorità ucraine parla di tre vittime e diciassette feriti. La Cnn ha riportato una presa di posizione del consiglio comunale di Mariupol: «L'ospedale pediatrico è stato bombardato nonostante la Russia abbia accettato una pausa di 12 ore nelle ostilità per consentire l'evacuazione di civili». La Conferenza episcopale dei Paesi nordici (Norvegia, Svezia, Islanda, Danimarca, Finlandia) hanno chiesto a Putin di «fermare una guerra ingiusta» e condannato «l'attacco all'ospedale pediatrico di Mariupol, geograficamente lontano da qualsiasi obiettivo militare». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero