Libia, Trump dalla parte di Haftar: obiettivo arginare i Fratelli musulmani

L'America torna in scena sulla Libia. Trump chiama il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma soprattutto decide di inviare alla Conferenza di Berlino il segretario di Stato...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
L'America torna in scena sulla Libia. Trump chiama il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma soprattutto decide di inviare alla Conferenza di Berlino il segretario di Stato Mike Pompeo e il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O'Brien. Una decisione presa negli ultimi giorni, dopo aver parlato al telefono con la cancelliera tedesca Angela Merkel.


LEGGI ANCHE Libia, Haftar rinvia ma Erdogan lo bacchetta: avanza l'ipotesi dei militari italiani
 
Dietro la volontà della Casa Bianca di tornare protagonista nella crisi libica, oltre a esserci il timore che si ripeta un nuovo scenario siriano, c'è anche l'interesse a non lasciare l'iniziativa diplomatico-militare allo zar Vladimir Putin, che ambisce a rafforzare la sua presenza nel Mediterraneo e a diventare arbitro dei conflitti in Medio Oriente. Ma soprattutto c'è la preoccupazione che, con la Turchia schierata a fianco di Fayez al Serraj, a prendere il potere possano essere i Fratelli Musulmani, presenza già molto forte nell'equilibrio politico di Tripoli. Un rischio che Trump sembra non voler correre, anche perché gli amici dell'Egitto e degli Emirati Arabi Uniti che, già qualche mese fa, gli avrebbero chiesto di sostenere Haftar, avrebbero offerto in cambio un appoggio al piano di pace tra Israele e Palestina promosso dal genero del presidente, Jared Kushner.

LA TELEFONATA
Abdel Fattah al Sisi avrebbe chiesto un sostegno verso il generale dell'Est libico già ad aprile scorso durante una visita a Washington. Solo lui - avrebbe spiegato - è in grado di sconfiggere gli islamisti radicali e i terroristi. Qualcosa che è vera solo in parte, visto che tra le milizie di Haftar ci sono diverse divisioni salafite molto radicali, e che la sconfitta dell'Isis si deve alle milizie di Misurata, alleate di Serraj. Ma era mesi fa, ancora non si era inserita nel conflitto la preoccupazione per una presa di forza dei Fratelli Musulmani. Già in quella occasione, comunque, Trump ha lasciato spiazzati tutti, e il 15 aprile ha alzato il telefono e ha chiamato Haftar. Poi l'Egitto e gli Emirati hanno continuato a insistere proprio per il rischio contagio dei Fratelli Musulmani, fuorilegge nei Paesi che appoggiano il generale.

Così, con un cambio di decisione recente, la Casa Bianca ha stabilito di essere presente al massimo livello alla conferenza di pace in programma domenica a Berlino. Gli Usa, però, avrebbero anche chiesto agli alleati dell'Arabia Saudita e degli Emirati di non fornire più armi all'uomo forte della Cirenaica, che considerano sempre più incontrollabile, sebbene in passato il maresciallo, che ha la cittadinanza americana ed è in odore di rapporti con la Cia, sia stato un loro uomo combattendo contro Gheddafi. E infatti l'amministrazione statunitense immagina una Libia diversa, unificata e con i due attuali leader fuori dalla scena per fare spazio a una terza persona.
Altro aspetto che sembra non essere dispiaciuto al presidente americano è il flop dell'iniziativa diplomatica del Cremlino, dopo che Haftar si è rifiutato di firmare una tregua duratura a Mosca. La Russia ha cercato di limitare i danni e il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov ha spiegato che il vertice «non aveva la pretesa di essere una riunione finale per risolvere ogni problema» e che era «solo un contributo alla conferenza di Berlino». Conferenza per cui la Germania ha diramato gli inviti alle cancellerie di Italia, Francia, Gran Bretagna, Usa, Russia, Cina, Emirati arabi, Turchia, Repubblica del Congo, Egitto, Algeria, Onu, Ue, Unione africana e Lega araba. Mentre Serraj deve ancora confermare e Haftar ha annunciato - fino a decisione contraria - la sua presenza.

L'ACCORDO MANCATO

La conferenza di Berlino, ha spiegato la portavoce del governo tedesco Ulrike Demmer, «non sarà la conclusione» del processo di pacificazione della Libia «ma l'inizio». «L'aspettativa è che faccia progredire il processo politico in termini di un possibile cessate il fuoco», le ha fatto eco il portavoce del Servizio europeo per l'azione esterna Peter Stano. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha ricostruito la situazione in una informativa alla Camera e al Senato, invece ha ribadito l'importanza del ruolo avuto dall'Italia nella buona riuscita della Conferenza di Berlino. Tutto queste mentre Haftar ha fatto sapere che per firmare l'accordo di Mosca dovranno sparire la mediazione turca e le milizie vicine a Serraj, entro 45-90 giorni. Anche se sul terreno continuano ad arrivare mercenari da una parte e dall'altra dello schieramento.
  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero