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Nei “simulation games”, le prove di scenario del Pentagono (e della Casa Bianca) sul Medio Oriente, il vero punto fermo, il baluardo incrollabile dello schieramento americano e occidentale nella regione, è Israele. Anzi, la democrazia israeliana. Si capisce allora perché le scene di centinaia di migliaia di manifestanti per le strade di Tel Aviv e Gerusalemme dopo il siluramento del ministro della Difesa Yoav Gallant, favorevole al rinvio della riforma della giustizia in nome della sicurezza nazionale, abbiano risvegliato i peggiori fantasmi nel gabinetto del presidente Biden. Il quale nelle ultime settimane ha già dovuto metabolizzare il protagonismo russo e cinese, la ritrovata concordia e la ripresa delle relazioni diplomatiche tra l’Iran e l’Arabia Saudita, tra sciiti e sunniti, platealmente sotto l’ombrello del gigante asiatico. E, ancora, il ritorno di Bashar al-Assad, il dittatore siriano, alle visite di Stato nel Golfo, ricevuto con tutti gli onori perfino negli Emirati arabi uniti che ospitano tuttora basi americane e francesi. La forza e la stabilità di Israele rimangono imprescindibili per Washington, e lo dovrebbero essere anche per l’Europa. L’annuncio, ieri sera, di Netanyahu del congelamento della riforma è una risposta anche alle pressioni di Biden perché la situazione politica in Israele non tocchi il punto di ebollizione. Immediata la reazione compiaciuta della Casa Bianca a un annuncio che è «un’opportunità per creare ulteriore tempo e spazio per un compromesso, proprio quello che avevamo chiesto».
LE PRESSIONI USA
Intervistato al “Piers Morgan senza censure” su Fox News, Netanyahu era entrato nei dettagli del colloquio con Biden. «Prima di tutto abbiamo parlato della sicurezza legata all’Iran.
GLI EQUILIBRI
La preoccupazione di Biden riguarda la tenuta della diplomazia e presenza americana in Medio Oriente, teatro non molto lontano da quello ucraino. Appena ieri, l’intelligence britannica segnalava che i droni di Teheran continuano ad arrivare in Russia e a esser lanciati contro obiettivi civili e infrastrutture ucraine. In cambio, l’Iran ha ottenuto da Mosca la promessa di aerei da guerra, tecnologia (anche nucleare?) e appoggio politico. Sono a rischio i delicati equilibri che garantivano, attraverso la coabitazione tra israeliani, russi e americani, la stabilità dell’area e il contenimento delle mire iraniane. Senza contare il ruolo fondamentale di un Paese-cerniera non solo tra Est e Ovest, ma tra Medio Oriente e Europa, qual è la Turchia di Erdogan, con i suoi altalenanti rapporti con Israele. Anche per questo le parole dell’ormai ex ministro della Difesa israeliano, Gallant, hanno un peso: «La sicurezza dello Stato di Israele è la missione della mia vita». E coincide con la sicurezza di tutto l’Occidente.
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Il Messaggero