Iran, impiccati per «aver insultato il profeta Maometto e bruciato il Corano»: due condanne a morte

L'Iran ha eseguito la condanna a morte per due persone ritenute colpevoli di avere insultato l'Islam

Iran, impiccati per «aver insultato il profeta Maometto e bruciato il Corano»: due condanne a morte
Impiccati per aver bruciato il Corano. L'Iran ha eseguito la condanna a morte per due persone ritenute colpevoli di avere insultato l'Islam. Lo rende noto il sito della...

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Impiccati per aver bruciato il Corano. L'Iran ha eseguito la condanna a morte per due persone ritenute colpevoli di avere insultato l'Islam. Lo rende noto il sito della magistratura iraniana Mizan on-line, secondo cui Sadrollah Fazeli Zarei e Youssef Mehrdad, condannati per avere «insultato il profeta Maometto e...bruciato il Corano», sono stati impiccati in mattinata. Uno degli accusati, a marzo del 2021, aveva confessato di avere pubblicato sui suoi account social insulti all'Islam, aggiunge il sito della Magistratura della Repubblica islamica.

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I due erano stati accusati di «Sabulnabi» (insulto al profeta) per avere pubblicato sui social media messaggi ritenuti insulti contro l'Islam, il profeta Maometto, la madre di Maometto e gli imam sciiti oltre a video che ritraevano il rogo del Corano. Secondo l'agenzia Irna, Mehrdad era stato arrestato nel marzo del 2021 con l'accusa di avere fondato e guidato 15 gruppi che hanno promosso sui social media «sacrilegio e blasfemia» e anche Fazeli Zareh, arrestato a Yasouj sempre nel marzo del 2021, era accusato di avere fondato 20 gruppi sui social coinvolti in attività di sacrilegio on-line. I due hanno agito in stretta cooperazione e hanno creato gli account social utilizzando un numero telefonico iraniano e un numero francese. Alcuni predicatori sciiti in Iran avevano pronunciato una fatwa nei loro confronti per blasfemia che nella Repubblica islamica è punita con la pena di morte. A Teheran e Arak, dove i due sono stati giudicati, erano state arrestate delle persone ritenute collaboratori di Mehrdad e Fazeli Zareh.

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Il Messaggero