Cane sbrana la proprietaria incinta, il compagno di lei difende l'animale: «Non va abbattuto»

Cane sbrana la proprietaria incinta, il compagno di lei difende l'animale: «Non va abbattuto»
PARIGI - Rischia di essere abbattuto Curtis, lo staffordshire terrier americano accusato di aver sbranato e ucciso la sua propritaria Elisa Pilarski il 16...

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PARIGI - Rischia di essere abbattuto Curtis, lo staffordshire terrier americano accusato di aver sbranato e ucciso la sua propritaria Elisa Pilarski il 16 novembre 2019. La donna è morta in Francia a 29 anni mentre era incinta di sei mesi. La sua tragica fine ha fatto il giro del mondo e oggi sono in molti ad avere dubbi sulle dinamiche dell'accaduto. Per il compagno Christophe Ellul «Curtis va salvato perché non è stato lui ad aggredirla». Elisa è morta in seguito all'emorragia e alle gravi lesioni riportate durante una passeggiata nei boschi di Retz a 80 km da Parigi. Si sono rivelati letali i morsi alla testa, al torso e agli arti superiori e inferiori. Poco prima aveva telefonato al fidanzato per dirgli che non si sentiva al sicuro, ma quando l'uomo è arrivato in suo soccorso era ormai troppo tardi. Accanto al corpo di Elisa c'era il suo cane Curtis. 




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La colpa è ricaduta inizialmente sui cani da caccia nelle vicinanze, ma i cacciatori hanno dimostrato che la battuta non era ancora cominciata quando la donna è stata attaccata. A quel punto Curtis sembrava essere il responsabile. 
L'animale è stato rinchiuso in un canile di Beauvais, ma Christophe Ellul è riuscito a farlo trasferire. «La lobby della caccia vuole dipingerlo come una belva cattiva, troppo facile - ha dichiarato l'avvocato della famiglia -  I graffi sulla testa dell’animale proverebbero che semmai Curtis ha provato a difendere la padrona». «Avevano un rapporto straordinario, è impossibile che sia stato lui ad attaccare Elisa», ha aggiunto Christophe.

Secondo il procuratore Frédéric Trinh, Elisa è stata uccisa da più cani, presumibilmente un branco. Si attendono i test del Dna sui cani e gli esami sulla compatibilità delle ferite con le rispettive arcate dentarie.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero