Birra nei quadri dei grandi artisti danesi dell'800: dipingevano con le proteine dei lieviti

Uno studio italo-danese svela l'ingrediente segreto della pittura dell'Età d'oro: gli avanzi dei birrifici dell'epoca

nella foto dipinto del 1834 The 84-Gun Danish Warship "Dronning Marie" in the Sound dell'artista danese Cristoffer Wilhelm Eckersberg
Raffaello usava il blu egizio, Vermeer usava polveri di quarzi e lapislazzuli, e i pittori danesi all’alba dell’Ottocento usavano birra. O meglio, proteine derivate...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Raffaello usava il blu egizio, Vermeer usava polveri di quarzi e lapislazzuli, e i pittori danesi all’alba dell’Ottocento usavano birra. O meglio, proteine derivate dai lieviti, cioè dai sottoprodotti di scarto dei birrifici in auge all’epoca. Come a dire che i rifiuti dei birrifici potrebbero essere stati la risorsa dei pittori dell’Età d’oro danese. Insomma, a ciascuno il proprio ingrediente segreto. Tra sacro e profano, nobile e povero.

Un dettaglio nel quadro di 400 anni fa sconvolge gli osservatori: «È la prova di un viaggio nel tempo»

L'"ingrediente"

Eccolo allora l’elemento inaspettato che nella preparazione delle tele usate all’inizio del XIX secolo, ha reso grandiosi quadri come la “Dronning Marie in the Sound” dell’artista danese Cristoffer Wilhelm Eckersberg. Non altro che la proteina del lievito di birra nel suo strato di base. Lo ha rivelato uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, coordinato dagli italiani Enrico Cappellini e Fabiana Di Gianvincenzo, entrambi dell’Università di Copenaghen, e alla quale hanno collaborato la Royal Danish Academy di Copenaghen e la National Gallery of Denmark.

Si apre così una nuova pagina nella storia dell’arte. Tutto è iniziato dallo studio ravvicinato dei dipinti dell’Età d’oro danese, nella prima metà dell’Ottocento, quando ci fu un’esplosione di creatività artistica, come testimonia la collezione straordinaria della National Gallery of Denmark. L’idea di fondo è che comprendere le composizioni chimiche di questi dipinti è la chiave per preservarli. Sono state così esaminate 10 opere, tutte del periodo compreso fra il 1826 e il 1833. È stato verificato che di queste dieci, le sette tele che provengono dall’Accademia di Belle Arti di Copenaghen conservano le tracce delle antiche proteine. Nel dettaglio, tre sono opera di Christoffer Wilhelm Eckersberg, considerato il padre della pittura danese e risalgono al periodo in cui l’artista insegnava nell’Accademia, e quattro sono di Christen Schiellerup Købke, che nello stesso periodo era studente.

Nei sette dipinti sono emerse proteine di “Saccharomyces cerevisiae”, oltre a varie combinazioni di proteine di grano, orzo, grano saraceno e segale. Tutte queste proteine sono coinvolte nella fermentazione della birra. Perché si usava la birra? Testi e analisi hanno mostrato che la miscela si teneva insieme e forniva una superficie pittorica stabile. Perché proprio le tele dell’Accademia? Le proteine derivate dai sottoprodotti della lavorazione della birra venivano utilizzate dagli artigiani dell’Accademia per preparare le tele per pittori celebri, come Christoffer Wilhelm Eckersberg, appunto, o per studenti in seguito diventati famosi, come Christen Schiellerup Kobke.

Questo dato cambia in modo significativo la storia delle tecniche della pittura a olio e mostra come nella società danese degli inizi del XIX secolo vi fosse una grande interconnessione fra economia e produzione artistica. Come è avvenuta la scoperta? I frammenti di proteine derivate da lievito e cereali sono stati identificati utilizzando la paleoproteomica, ossia l’analisi della struttura e delle funzioni di proteine prelevate da campioni di materiali antichi. «L’applicazione della paleoproteomica è relativamente nuova nello studio dell’eredità culturale», osserva Di Gianvincenzo, prima autrice della ricerca. «La presenza di cereali e lievito era inaspettata», aggiunge. Anche per Cappellini la proteomica è uno strumento potente per studiare oggetti artistici, anche moto antichi, perché permettere di identificare con sicurezza le minime tracce di proteine «anche in contesti danneggiati e contaminati».

Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero