«Prima o poi ti ammazzo, mi diceva. Non mi servono le armi. Le mie armi sono queste. E mi stringeva le mani al collo. L'ho sconfitto con il silenzio». Fernanda non...
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Fernanda, 48 anni, infermiera di Vicenza, ha ancora in testa quelle parole: prima o poi ti ammazzo. I suoi figli, due gemelli, di appena sei anni avevano già perso il padre e rischiavano di perdere anche la madre se non fosse riuscita a ribellarsi. «Sono rimasta vedova nel 2015, mi sentivo sola e smarrita. Mi sono appoggiata a quest'uomo, lui sembrava così innamorato e io avevo tanto bisogno di una persona a cui appoggiarmi. É venuto a viveve a casa mia. E pochi mesi dopo si è rivelato per quello che era: un violento. Mi aggrediva per qualsiasi motivo: perché i bambini non mangiavano l’insalata, perché non lo chiamavano papà, perché le posate erano messe male. Per niente. Il nostro passato era da cancellare. Non si poteva parlare del papà dei bambini».
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La pediatra la prima a capire che Fernanda era segregata in casa. «Ho avuto paura che mi potessero togliere i bambini e ho trovato il coraggio. Era il 22 novembre 2016 quando ho chiamato il servizio tutela minori e spiegato che non potevo recarmi nei loro uffici perché non aveva alcuna libertà.
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In Italia sono sei i Villaggi Sos (Trento, Ostuni, Vicenza, Roma, Saronno, Mantova). Negli ultimi anni, dicono i responsabili, sono sempre di più le donne vittime di maltrattamenti che chiedono protezione per sé e per i propri figli. «Offriamo alle mamme vittime di violenza e ai loro bambini la protezione, uno luogo sicuro dove le donne hanno l’opportunità di intraprendere un percorso verso l’indipendenza e i loro bambini possono riappropriarsi dell’infanzia che è stata loro negata» spiega Samantha Tedesco, responsabile programmi di Sos Villaggi dei Bambini.
Lo stesso percorso di Fernanda. «Alle donne intrappolate in relazioni violente dico: vogliatevi bene, proteggete i vostri bambini. Prima o dopo arriva il momento in cui dici: perché devo ancora subire tutto questo? Cosa ho fatto di male?”. E poi i bambini. Siamo noi mamme a dover intervenire. I bambini non devono pagare».
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Il Messaggero