«Perché ti amo». Yvette Samnick da quando è piccola sente ripetere questa frase. Le violenze in nome dell’amore. Perché ti amo, ti picchio,...
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Centri antiviolenza, accolte 43 mila donne nel 2017
«Perché ti amo», è il titolo del libro di Yvette pubblicato qualche mese fa (Luigi Pellegrini editore), il racconto di tutte le violenze che ho subito in nome dell’amore. «Mi sentivo prigioniera e impotente, avevo tanta rabbia. Scrivere è stata una forma di terapia». Yvette e la madre, un’assistente sociale, hanno fondato in Camerun un’associazione per le vittime di violenza, (Aclvf) . «Voglio aiutare le donne nel mio paese, lì lo Stato è assassino, complice. Le donne finiscono in ospedale con i lividi e le ossa rotte e nessuno chiede perché.
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Yvette nel 2014 arriva in Italia con una borsa di studio all’università di Cosenza. Lasciandosi alle spalle le violenze del padre poligamo e tiranno. Conosce un ragazzo italiano, s’innamora, resta incinta e si trasferisce a casa della famiglia di lui. Comincia un nuovo inferno. I controlli della suocera, gli insulti del compagno, le botte. L’unica libertà che ha è la messa della domenica. Un giorno lui le sbatte la testa contro l’armadio e le punta un coltello. «Mi provocava: vai a denunciarmi. Tanto sapeva che non l’avrei fatto». Finché nel settembre del 2017 Yvette, dopo l’ennesima aggressione, denuncia il compagno. Per due anni vive in una casa famiglia e adesso abita da sola con il suo bambino i 3 anni, a Cosenza. L’ex compagno è sotto processo per odio razziale, violenza assistita e maltrattamenti in famiglia.
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«In Italia ho subito e subisco una doppia discriminazione, come donna e come straniera. Ogni santo giorno mi sento offesa, quando esco da casa si fermano tante macchine e mi fanno proposte perché pensano che sia una prostituta. Sono una donna nera e dunque prostituta o badante. Voglio essere chiamata nera, sto facendo una battaglia per questo. Che vuol dire donna di colore? Di che colore sarei? Sono una donna nera che ha studiato e pensa, ma in Italia questo non è concepibile. Vengo trattata come una prostituta, come una donna delle pulizie o come una badante non solo dagli uomini ma anche dalle donne. Perché questa è l’immagine della donna nera. Io ho gli strumenti per reagire, tante altre non li hanno. Mi continuerò a battere per tutte le donne straniere che vivono in questo paese e sono più esposte alla violenza». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero