«La violenza economica costringe le donne a rimanere in una condizione di sudditanza». Patrizia Desole, è una consigliera Pd del comune di Olbia, ma è...
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Tra qualche mese, il “reddito di libertà” diventerà concreto a Olbia e Nuoro, i due comuni che hanno dato attuazione alla legge regionale. «I fondi ammontano a 300 mila euro per tutta la Sardegna» spiega Desole.
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Il diritto di libertà nasce in Sardegna grazie a una volontà bipartisan: la prima firmataria è stata l'attuale assessora regionale del Lavoro della Sardegna Alessandra Zedda di Forza Italia: la proposta è stata approvata all'unanimità. «E' la prima legge organica sul tema, prevede un contributo economico, favorisce la mobilità, ossia spostarsi in un'altra città, agevolazioni per l'assegnazione di case popolari, ma anche progetti di educazione affettiva nelle scuole» dice Zedda che parla di una “legge di civiltà» e che annuncia altri 300 mila euro per l'attuazione della legge. Potrà beneficiarne chi denuncia il suo aguzzino. L'onorevole, nell'elaborare la legge ha osservato cosa è stato già fatto in Spagna, Paese molto evoluto sul tema.
In prima fila c'è anche la Regione Sicilia. Giovanni Cafeo, deputato regionale (Pd), è stato promotore dell’emendamento alla finanziaria che ha istituito il Reddito di Libertà. «La legge è attualmente in vigore, perché inserita nell’articolo 55 della scorsa legge di bilancio regionale e prevede un contributo al sostentamento economico sia per le donne vittime di violenza sia per i figli conviventi. L’unico requisito è ovviamente legato al reddito che non deve essere elevato. Nel 2018 i ritardi nell’emanazione del regolamento previsto nell’articolo – aggiunge Cafeo - non hanno consentito di spendere i 200.000 che sono stati impegnati per il 2019. Purtroppo le lungaggini burocratiche e amministrative hanno ritardato enormemente l’applicazione della legge». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero