Migliaia al corteo contro la violenza alle donne: 5 minuti di silenzio per le vittime

«Siam partite insieme, insieme torneremo. Non una, non una, non una di meno». Cori, musica, segni rossi sul viso, carteli e striscioni, «Contro la violenza siamo...

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«Siam partite insieme, insieme torneremo. Non una, non una, non una di meno». Cori, musica, segni rossi sul viso, carteli e striscioni, «Contro la violenza siamo rivolta» e nessuna bandiera o colore di partito. Poi alle 16,30, nel corteo contro la violenza sulle donne partito da piazza della Repubblica un'ora prima, cala il silenzio. Lunghissimo. Cinque minuti di silenzio, migliaia e migliaia di persone sedute a terra, lungo via Cavour. Un tappeto di colori immobile. Tante mani sollevano i cartelli con i nomi delle vittime. E poi l'urlo, tutti in piedi. «Suona il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che non hanno voce». «Ci vogliamo vive». «Ci vogliamo vive e libere, oggi». 


"Il grido muto", si chiama così il flash-mob per ricordare le donne uccise e per dare solidarietà alle donne cilene che vengono violentate dalla polizia ed in particolare in memoria di Daniela Carrasco, “El Mimo”, l'attivista trovata impiccata lo scorso 20 ottobre. Viene letto l'elenco delle vittime di questo anno. Elisa Pomarelli, 28 anni, presente: 25 agosto 2019 femminicidio. Luminida Brocan, 55 anni, presente. Miriana Curcielli, 12 anni, presente. Maria De Sousa, 60 anni, presente. Sono tutte lì, le ultime vittime, ricordate nei cartelli bianchi che i manifestanti sollevano. «Siamo centomila», esagerano le organizzatrici del movimento “Non una di meno”. Diecimila in piazza, secondo le forze dell'ordine. Il solito balletto delle cifre. Ma nessun numero può dire la forza e la bellezza di quei cinque minuti di silenzio, le gambe icrociate sull'asfalto.  La folla muta, in quei minuti lunghissimi, sembrava sterminata.
 

Ad aprire il corteo lo striscione:  «Contro la violenza siamo rivolta». Sono arrivati da tutta Italia per dire no alla violenza, migliaia di donne e anche tanti uomini e tanti stranieri. «La violenza non ha colore, nazione, religione», dice Khadija, 46 anni, marocchina. In testa le rappresentanti dei centri antiviolenza, delle case delle Donne, dei consultori e molte portano le maschere delle luchadoras, a sostegno della struttura di accoglienza Lucha Y Siesta di Roma sotto sfratto. Cori contro la sindaca di Roma: «Raggi tu cadrai - hanno gridato dal corteo - se i luoghi delle donne non difenderai».
 



Nessuna bandiera di partito, ma bandane rosa e viola, il viso segnato di rosso. Ragazzi e ragazze, con gli stessi simboli sulle gote. «Purtroppo sembra un virus, una cosa terrificante che avviene e che non desta quello scandalo sociale che dovrebbe», dice l'onorevole Laura Boldrini commentando i femminicidi. «Questa manifestazione, invece, vuole riportare l'attenzione su questo tema. Non solo stando accanto a tutte le donne che combattono questo fenomeno, ma anche per dire che siamo qui per chiedere protagonismo, centralità e capacità di incidere nel nostro paese, dove ancora le donne sono sempre tenute un pò al margine».

E in coda al corteo, musica, balli e canti con i ragazzi e le ragazze della Murga. «Giustizia per Mimo», chiedono cartelli e striscioni, l'artista di strada trovata impiccata a Santiago del Cile. «Non un minuto di silenzio, ma una vita di lotta», lo spray nero e viola su un lenzuolo bianco. «Guardami bene perché potrei essere la prossima», e sotto il cartello tante ragazze con il naso da clown. «Stufe e incazzate», Elena, 44 anni, l'ha scritto su un cartone, è venuta da Milano per manifestare con il suo compagno Alessandro, «sono costernato - dice lui - che ci siano ancora bisogno di questa manifestazioni».
«Non dovremmo essere qui a chiedere di non essere maltrattate, è assurdo tutto questo», per Federica, studentessa siciliana, il simbolo della rivolta delle donne è “Nairobi”, una delle protagoniste della serie tv “La casa di carta”, «lei dice: arriva il matriarcato. E si ribella». 
Antonio D'Andrea del Movimento uomini casalinghi, dice che gli uomini «nel sociale hanno fatto un disastro, devono tirarsi e interrogarsi sulla propria vita». Livio Daraban, ventenne  di Mosca, tiene in mano un cartello: «La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci». 

Per Antonio ci vorrebbe una «Procura antiviolenza così come c'è la procura antimafia». C'è anche la scrittrice somala Igiabra Scego. «Placca il sessismo», scrivono sul cartello le giovani rugbiste.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero