«Sono giovane, non posso morire così». Santa Scorese in macchina, verso l'ospedale di Bari. Il sangue delle coltellate di uno sconosciuto che la...
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IL PROCESSO. Nessuna difesa, per Santa (nemmeno il padre poliziotto ha potuto far nulla e si tormenta ancora) e nessuna giustizia. Quattordici anni di causa civile per non ottenere nulla. «Zero risarcimento - spiega la sorella Maria Rosa - per un cavillo, due articoli del codice che si contraddicono e l'assenza di un tutore dell'assassino». La famiglia Scorese ha provato a chiedere i danni citando in giudizio nel 2001 la famiglia dell'assassino e il ministero della Salute, «in quando la Asl non si è mai preoccupata delle condizioni di Giuseppe Di Mauro, persona pericolosa. Al processo risultò non imputabile perché incapace di intendere e volere, e dopo essere stato dieci anni in Opg, oggi è libero» racconta la sorella. «Il risarcimento l'avremmo speso per aiutare gli orfani di femminicidi. Il mini indennizzo? Abbiamo rinunciato. Ricevere 8.200 euro è un'umiliazione».
Dice il regista: «Tra femminicidio e martirio, Santa subito racconta la storia di un destino annunciato. Paradigma di troppe altre storie dallo stesso finale: il mio piccolo, personale appello affinché le donne siano lasciate meno sole, quando si ritrovano in balìa di una psicosi travestita da amore. La vera sfida è arginare la cultura della violenza e della sopraffazione verso il più debole che dilaga ovunque».
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Il Messaggero