Brescia, riti voodoo e violenze sessuali: l'incubo delle prostitute nigeriane sbarcate dalla Libia

Hanno trovato la forza di denunciare i loro sfruttatori, facendo partire un'indagine che fornisce un quadro più chiaro di come vengano trasferite in Italia...

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Hanno trovato la forza di denunciare i loro sfruttatori, facendo partire un'indagine che fornisce un quadro più chiaro di come vengano trasferite in Italia le giovani prostitute africane. È la storia di tre donne che, come molte altre, arrivavano dalla Nigeria alla Libia, dove venivano imbarcate, fatte sbarcare in Italia e poi iscritte nel sistema di accoglienza per migranti attraverso la domanda di protezione internazionale. La legge italiana fa sì che, una volta presentata domanda, non si possa più essere espulsi fino al completamento dell'iter procedurale per il riconoscimento o meno dello status di rifugiato. Formalizzata la richiesta d'asilo, venivano costrette a fuggire dai Centri di accoglienza e poi costrette a prostituirsi. Così, se fossero state rintracciate dalle forze dell'ordine, non sarebbero state immediatamente espulse perchè ancora in attesa di una pronuncia sulla domanda di protezione. Nel frattempo, data la lunghezza dei tempi per le procedure amminsitrative italiane, venivano sfruttate dai loro aguzzini che guadagnavano sulla loro pelle.


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Questo è il quadro che emerge dalle indagini dalla Squadra Mobile di Brescia e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Brescia che vede adesso sei indagati e tre arrestati, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare, tutti provenienti dalla Nigeria, con le accuse di tratta di esseri umani e sfruttamento della prostituzione. Gli inquirenti, attraverso intercettazioni telefoniche, sono riusciti a individuare una donna e un uomo che svolgevano la funzione di terminali per l'organizzazione criminale madre con basi in Libia e Nigeria e aiutavano i trafficanti a favorire l'ingresso delle giovani donne nel nostro Paese. Entrambi, residenti nel bresciano, sono stati arrestati, assieme a una terza figura, sempre una donna, residente a Mantova ma operante nella zona di Torino.

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Le violenze sulle donne iniziavano già in Nigeria. Lì, venivano strappate alle loro famiglie con il ricorso a riti juju, pratiche di magia nera intimidatorie, e minacce, perpetrate con lo scopo di far versare ai loro aguzzini somme da capogiro, tra i 20 e i 30 mila euro, come forma di riscatto per affrancarle alla loro «madame» designata. Prima di essere trasferite in Italia, le giovani venivano sottoposte a violenze sessuali, abusi fisici e restrizioni forzate presso i centri di detenzione per migranti in suolo libico, da tempo nel mirino delle associazioni umanitarie per le condizioni disumane a cui vengono sottoposti i migranti.


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Il Messaggero