Sicilia, quattro mamme tunisine straziate arrivano per recuperare i corpi dei figli naufraghi

Sicilia, quattro mamme tunisine straziate arrivano per recuperare i corpi dei figli naufraghi
Le lacrime di quattro mamme tunisine hanno straziato l'Italia. E' la storia di quattro donne che hanno affrontato un viaggio penoso dalla Tunisia alla Sicilia nella...

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Le lacrime di quattro mamme tunisine hanno straziato l'Italia. E' la storia di quattro donne che hanno affrontato un viaggio penoso dalla Tunisia alla Sicilia nella speranza di poter riavere i corpi dei loro figli migranti. Giovani che per diverse ragioni erano partiti per raggiungere l'Italia e sono annegati al largo di Lampedusa. Il naufragio è quello avvenuto nel mese di ottobre. Per questo  Zakia, Soulaf, Hamda e Gamira si sono fatte coraggio e hanno deciso di fare i conti con il destino per dare sepoltura e avere una tomba sulla quale piangere il proprio figlio.  Purtroppo sono le prime due mamme potranno farlo, per le altre due, invece, non è stato possibile. I corpi dei loro figli giaciono nei fondali marini, in quello che papa Francesco ha chiamato il più grande cimitero del Mediterraneo. I sommozzatori non sono riusciti a recuperarli.


Quel 7 ottobre sul barcone affondato tra le acque in burrasca viaggiavano 170 migranti, 149 sono stati tratti in salvo, 19 corpi sono stati recuperati ma  dei restanti non si è più saputo più nulla.

I loro ragazzi avevano una età tra i 18 e i 32 anni. Le mamme hanno potuto affontare i costi del viaggio grazie ad una associazione che si occupa delle vittime del mare. Nei giorni scorsi sono anche state convocate ad Agrigento dal magistrato che coordina l’inchiesta di quel naufragio.   

Il ragazzo più giovane, di appena 18 anni, «voleva soltanto girare il mondo e conoscere altri paesi», ha detto tra le lacrime la mamma, mentre stringeva tra le mani la foto del ragazzo. I familiari credevano che fosse al bar con gli amici. Hanno saputo solo in seguito che si era imbarcato.  Lazar Chaieb, invece, il più grande di tutti, 32 anni, sposato e con una figlia piccola, voleva invece raggiungere l’Italia per curarsi. Aveva un tumore e in una busta di plastica aveva messo le cartelle cliniche, attaccandosele al torace con il nastro adesivo.   Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero