Una donna (romana) tra le prime premiate in Europa: ha inventato l'etichetta antifrode fatta di Dna

Una donna (romana) tra le prime premiate in Europa: ha inventato l'etichetta antifrode fatta di Dna
Tra le prime innovatrici europee c'è una donna italiana. E' fra le quattro vincitrici del premio dell’Unione Europea per le Donne Innovatrici, finanziato...

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Tra le prime innovatrici europee c'è una donna italiana. E' fra le quattro vincitrici del premio dell’Unione Europea per le Donne Innovatrici, finanziato nell’ambito del programma per la ricerca Ue Horizons 2020. E’ sua l’idea di etichette antifrode fatte di Dna per tracciare i prodotti e svelare, per esempio, se il cotone di una maglietta è davvero biologico o se l'olio d'oliva è davvero ‘made in Italy’. «Un grande riconoscimento e una soddisfazione personale, come donna e imprenditrice, che premia tanto lavoro e impegno» dice Michela Puddu, co-fondatrice e amministratrice di Haelixa, spin-off del Politecnico di Zurigo (Eth).


Essere tra le prime innovatrici europee è un traguardo importante: «le donne imprenditrici sono tante, ma non sempre sono in prima linea sul mercato e sui giornali», dice. Nata e cresciuta a Roma, dopo aver studiato Scienza dei materiali nell'università di Tor Vergata ha fatto il master nel Politecnico di Zurigo. «Lì ho trovato condizioni ideali per il dottorato e così ho deciso di rimanere. Poi è cominciata la collaborazione con mio socio sulla tecnologia delle etichette al Dna. Giorno dopo giorno realizzavamo il potenziale che questa tecnica aveva e piano piano è cresciuto il desiderio di non lasciarla su un articolo scientifico e di portarla sul mercato».


Le etichette al Dna si adattano a qualsiasi settore della produzione, dal tessile all'agroalimentare. «Oggi la maggior parte dei sistemi di tracciabilità è fisicamente distaccata dal prodotto, che siano certificati o codici e barre, fino alla blockchain, e questo può indurre frodi», osserva Puddu. L'idea, allora è stata utilizzare le quattro lettere alla base del codice della vita per scrivere sequenze di informazione genetica completamente nuove e artificiali, ma che possono essere lette con kit già in commercio e utilizzati per le analisi forense o in quella nella clinica, come in una sorta di 'test di paternità' del prodotto, semplice e non distruttivo. «Sono sequenze di Dna che non hanno significato biologico, ma che rappresentano un produttore o una casa manifatturiera», spiega Puddu. Una volta rese stabili e incapsulate in particelle sferiche che proteggono il Dna da alterazioni, le etichette al Dna sono completamente trasparenti e vengono nebulizzate sul prodotto in qualsiasi fase della produzione, dalla raccolta della materia prima al manufatto: «in questo modo è possibile ricostruirne tutta la storia e determinare l'autenticità Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero