Il primo paziente Covid-19. Martina Benedetti, infermiera di 27 anni del reparto di terapia intensiva dell'ospedale Noa di Massa Carrara, lo chiama il Signor...
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«Cara Anna, non scorderò mai la sensazione di quando ho preso in carico il primo paziente Covid-19, era la prima settimana di marzo».
Martina a metà marzo aveva scritto un lungo post su facebook al termine di un turno di notte. Aveva raccontato del sudore con la mascherina e la tuta, dell'afa che taglia il respiro, dei doppi guanti, svestirsi con la massima attenzione perchè sei infetta e basta un minimo sbagli e si rischia il contagio, raccogliere lacrime e paure,intubare e consolare. Il suo post era diventato virale.
E ha continuato a scrivere, a dialogare a distanza con la sua amica Anna. C'è tutta la sua paura, in queste lettere, la sua rabbia e il suo dirorienamento. Anche il suo coraggio.
«In quei giorni ho lavorato quasi sempre con maschere FFP2, non indicate per le manovre invasive che effettuavo. Lo sapevo bene, ma era ciò che mi veniva fornito. Che cosa potevo fare Anna? Rifiutarmi di entrare? Restare a casa come qualcuno ha fatto? No, non mi sarei mai sentita in pace con me stessa, con la mia coscienza e così varcavo quella porta con la paura costante addosso. Avevo paura ma ho continuato a lavorare ogni giorno.....Come potevo fidarmi di chi non ci stava dando risposte valide in quel momento? Di chi ci diceva “tranquilli, andrà tutto bene” non avendo mai messo nemmeno il naso nelle nostre realtà? Abbandonata Anna, mi sentivo abbandonata e sola, con la piccola speranza, in cuor mio, che alla fine ognuno avrebbe dovuto fare i conti con le responsabilità riconoscendo i propri limiti ed errori. Arriverà mai quel momento?»
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Il Messaggero