«Non impiccate il professor Junaid Hafeez». La sua unica colpa è quella di aver insegnato ai suoi allievi i diritti delle donne. La petizione su Charge.org...
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Il professore di 33 anni, attivista dei diritti umani, insegnava all'università Bahauddin Zakariya a Multan (città pakistana della regione del Punjab). Dopo essere tornato in Pakistan dal Mississippi - dove aveva trascorso un soggiorno accademico come borsista del Programma Fulbright - Junaid ha voluto trasmettere ai suoi studenti la passione per la letteratura e la giustizia sociale. E «ha insegnato tematiche come i diritti delle donne», scrive Helen Haft, studiosa statunitense che in questi giorni ha lanciato la petizione per salvare il professore.
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Junaid Hafeez è stato accusato di aver detto cose blasfeme: per un gruppo di studenti conservatori avrebbe anche insultato il Profeta Maometto sui social media. Junaid è stato arrestato nel 2013 e da allora è stato sempre recluso in isolamento. Il suo avvocato, Rashid Rehman, è stato assassinato nel 2014 per aver deciso di difendere il professore.
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«Junaid e io abbiamo preso entrambi parte al programma di scambio accademico Fulbright - scrive nella petizione Helen Haft - giorni prima di aver appreso della sua condanna a morte avevo pubblicato un pezzo sulla blasfemia in Pakistan.
«Il caso di Junaid verrà sicuramente impugnato in appello tuttavia nel mentre il professore rischia di essere ucciso in qualsiasi momento. Non c’è garanzia che il verdetto verrà ribaltato ed è imperativo che la comunità globale prenda posizione contro questa violazione dei diritti umani».
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#GiustiziaPerJunaidHafeez è l'appello della petizione per chiedere l’abrogazione delle leggi pakistane sulla blasfemia. «Sono uno strumento che può essere utilizzato contro chiunque in qualsiasi momento. Le leggi impediscono alle persone di parlare non solo riguardo alla religione ma anche su tematiche come i diritti delle donne. Le leggi ad oggi hanno ridotto al silenzio attiviste e attivisti per i diritti delle donne, per i diritti umani, giornalisti, professori e cittadini comuni. Mentre minoranze religiose, dissidenti politici, liberi pensatori e intellettuali sono spesso presi di mira, le prime vittime sono gli stessi musulmani». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero