“Autoritratto con scimmia, 1938”. Frida Kahlo in cornice, su una parete verde, e accanto Clelia, coroncina di fiori in testa e sguardo accigliato proprio come...
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«Racconto l’arte in maniera coinvolgente, con un linguaggio moderno, veloce, immediato. In tanti sono convinti che sia roba seria e difficile. Io la rendo leggera, senza per questo essere superficiale. Mi rivolgo a chi non va al museo perché lo trova noioso. Mostro che non è così, creo percorsi accattivanti e ironici, mi metto accanto a un’opera e invento una chiave di lettura giocosa che può attirare chi altrimenti non sarebbe interessato». Ed eccola farsi grassa vicino a un’opera di Botero, vestire i colori della Ragazza allo specchio di Picasso. Irriverente? Poco rispettosa della sacralità dell’opera? Non importa, è convinta Clelia, se con quel selfie qualcuno scoprirà il Moma o un artista fino ad allora sconosciuto. «Lo scopo è coinvolgere più persone possibili, anche l’arte deve parlare il linguaggio dei tempi. Non è detto che bisogna per forza capirla, avventurarsi in spiegazioni complicate. La bellezza di un’opera si può anche sentire. Le istituzioni museali americane l’hanno capito per prime e si sforzano di essere più comunicative e coinvolgenti, da noi ancora si fatica a far arrivare i musei al grande pubblico». Clelia Patella (@cleiart) su Instagram porta i suoi follower a spasso per mostre e musei, gioca con i selfie ma poi racconta e spiega, incuriosisce con aneddoti sulla vita degli autori. “Selfie ad arte” è diventato anche un libro (edizioni Ultra), e poi ci sono le passeggiate alla scoperta delle opere, "Walk in art", «racconto le mostre in tre minuti, sperando di invogliare chi mi segue a visitarle».
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Il Messaggero