Ancona, la gang del Venerdì: il boss nascondeva i rapinatori in casa delle amiche

A sinistra il capo della squadra Mobile di Ancona, Virgilio Russo, a destra il vice Carlo Pinto
Questa volta, per i quattro rapinatori, non è stato un bel venerdì. La banda siciliana che colpiva nelle Marche, rigorosamente nel quinto giorno della settimana,...

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Questa volta, per i quattro rapinatori, non è stato un bel venerdì. La banda siciliana che colpiva nelle Marche, rigorosamente nel quinto giorno della settimana, è stata sgominata dagli agenti della squadra Mobile di Ancona. Le manette sono scattate, ironia della sorte, proprio venerdì mattina. A Marotta, in casa del 55enne catanese Salvatore Sapia, i poliziotti hanno trovato un finto fucile a canne mozze. L’oggetto rudimentale era nascosto sotto un mobile. Proprio Sapia, secondo gli investigatori, sarebbe stata la mente delle rapine. Avrebbe offerto alloggio e assistenza ad alcune bande che arrivavano direttamente da Catania. Alcuni malviventi avrebbero dormito in casa di due amiche del 55enne, ora indagate per favoreggiamento.


Oltre a Sapia sono finiti in manette Antonino Bulla (29 anni), Antonino Della Vita (49) e Vincenzo Torrisi (39). La banda avrebbe rapinato due Banche di Montemarciano. I colpi risalgono al 28 febbraio e al 23 maggio del 2014. Nel primo caso il bottino ammontava a 130mila euro. Nel secondo, quasi 150mila. I colpi sarebbero collegati alle rapine agli uffici postali di Jesi (26 maggio 2014) e Candia (19 giugno 2014) e alle tentate rapine di Montecosaro e Torrette. Per questi ultimi casi furono fermate altre quattro persone, sempre catanesi. I fili rossi che legano tutti gli episodi sono due, secondo gli investigatori. Il primo sarebbe proprio Salvatore Sapia. Non era solo la mente organizzativa dei colpi. Reclutava i rapinatori, metteva a loro disposizione case e automobili rubate che in alcuni casi guidava lui stesso.


Il secondo collegamento è proprio nel modus operandi. Le rapine venivano compiute a volto semicoperto, con taglierini e sempre di venerdì nell’orario di chiusura al pubblico. I contanti venivano caricati in un borsone, poi nell’auto rubata che attendeva nei pressi della banca o dell’ufficio postale. Dopo un paio di isolati la banda saltava su un’altra vettura “pulita”, parcheggiata in precedenza nei paraggi. Una volta alla base, i malviventi si spartivano il bottino e tornavano in Sicilia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero