Fermo, i due operai uccisi erano in causa con Ciferri che temeva il sequestro dei beni per 16mila euro

Il fratello di uno delle vittime e l'avvocato Interlenghi (foto De Marco)
FERMO - Aveva 41 armi in casa. Di tutti i tipi: fucili e pistole da collezionista, detenute legalmente. Le armi erano la passione di Gianluca Ciferri, l'imprenditore di Fermo...

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FERMO - Aveva 41 armi in casa. Di tutti i tipi: fucili e pistole da collezionista, detenute legalmente. Le armi erano la passione di Gianluca Ciferri, l'imprenditore di Fermo che ha ucciso con un revolver due operai che chiedevano gli stipendi arretrati e il Tfr.








Ciferri è stato arrestato per duplice omicidio. Le vittime sono Nexhmedin Mustafà, 38 anni, kosovaro con moglie e 4 figli, raggiunto da due colpi e morto nel cortile; il cognato Avdyili Valdet, 26 anni, sposato con un figlio e un altro in arrivo, colpito da due

proiettili, uno al torace, l'atro di striscio, e morto poco dopo in ospedale. Secondo indiscrezioni non confermate sarebbe stato colpito durante la fuga, di spalle. Sicuramente, ha detto il procuratore di Fermo Domenico Seccia, le vittime sono state uccise in tempi successivi, una circostanza che potrebbe aggravare la posizione dell'imprenditore.



Sembra che i due muratori uccisi fossero in credito di una somma totale di 16mila euro. «Circa 11.800 euro Mustafa e oltre 4.400 euro Valdet», dicono alcuni familiari delle vittime, e lo conferma Davide Signorile, della segreteria provinciale Feneal Uil: «Conoscevo entrambe i lavoratori, ma in particolare Nexhmedin Mustafa che abitava in questo palazzo e si era rivolto a me lo scorso anno perché sosteneva di vantare crediti nei confronti dell'azienda Ciferri Gianluca. Era in corso un decreto ingiuntivo per quattro mensilità arretrate e il Tfr - dice il sindacalista - quindi chiedeva solo quanto dovuto, poi sul modo non entriamo».





«Nexhmedin passava quasi tutti i giorni per tenersi informato sulla causa di lavoro in corso - spiega Signorile - il 25 marzo c'era stato un tentativo di conciliazione da parte sua, ma la raccomandata che avevo spedito all'ex datore di lavoro è stata ignorata, tant'è che abbiamo iniziato l'iter per il decreto ingiuntivo di pagamento. Eravamo arrivati praticamente alla fine: stavamo aspettando solo la decisione del giudice». Forse sarebbe stata questione di poche settimane, dopodiché sarebbero partiti i sequestri dei beni dell'azienda da parte del tribunale. E passato il terribile lutto probabilmente la moglie continuerà col decreto ingiuntivo.



Valdet invece non aveva fatto vertenza, per lui un rapporto di lavoro meno definito con Ciferri. Mustafa aveva lavorato in quell'impresa edile fino al 28 febbraio scorso quando si è licenziato per giusta causa proprio perché non veniva pagato. In questi mesi avevano fatto lavoretti saltuari, per mandare avanti le proprie famiglie: Valdet era tornato in Kosovo, mentre Mustafa aveva trovato un nuovo datore di lavoro a Fermo, che proprio lunedì lo aveva pagato. I due avevano parlato anche del rinnovo del contratto. Ma per Nexhmedin, morto sul colpo nella

sparatoria, non c'è stato il tempo di firmarlo.



Mustafa, da 13 anni in Italia, aveva fatto domanda di cittadinanza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero