«Opportunista e adulatore», in un libro il lato oscuro di Giuseppe Ungaretti

Con la gatta Kiki negli anni 50
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Giuseppe Ungaretti (1888-1970) fu «un uomo con tante fragilità e con un carattere difficile spesso rimasto nell'ombra, come la tendenza all'opportunismo, all'insincerità e all'adulazione». Una nuova biografia, oltre a ribaltare i fatti della sua vita che si credevano accertati, presenta nuovi episodi e lati della personalità del grande poeta dell'Ermetismo rimasti finora sconosciuti. E soprattutto sembra smentire in alcune parti l'autobiografia "addomesticata" dell'autore delle liriche "Il porto sepolto".


Si intitola "La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti" ed è firmata da Claudio Auria per l'editore Le Monnier (pagine 464, 29 euro). Grazie alle informazioni già disponibili, alle testimonianze di coloro che gli furono vicini e alle fonti presenti in archivio, Auria consegna per la prima volta un profilo "integrale" di Giuseppe Ungaretti.

Se da un lato vengono confermate le grandi virtù del poeta - quali la sua passione, l'infinita curiosità, l'incredibile vicinanza alla cultura, alle arti e alla poesia, ma anche una profonda empatia verso
chi era in difficoltà -, dall'altro emerge la figura di un opportunista e insincero. L'episodio forse più sorprendente che si ritrova tra le pagine di questo libro di Auria è il tentativo di Ungaretti di «negare la sua vicinanza al regime fascista, che diventa presto l'ossessione di cancellare una parte del proprio passato».

Negli ultimi anni della sua vita, Ungaretti si era impegnato a fondo per lasciare una sua autobiografia, «ampiamente addomesticata», sostiene Auria. Lo aveva fatto mediante scritti, interviste, apparizioni televisive, e soprattutto grazie alle lunghe chiacchierate con il critico letterario e giornalista Leone Piccioni,
da cui era nata la biografia "Vita di un poeta: Giuseppe Ungaretti" (Rizzoli, 1970), che ha rappresentato l'indiscusso punto di riferimento per un cinquantennio.

"La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti" è una biografia «non edulcorata» - dice lo stesso Auria nella sua introduzione - «che non vuole sminuire la personalità del grande artista, bensì riportare alla luce l'uomo in cui convivevano lampi di genio e debolezze umane; un artista che non si è scandalizzato di fronte alla propria miseria, riuscendo sempre a trarne alimento per creare poesia anche dalla sua complessa personalità».


L'autore Claudio Auria (Roma, 1960) è un funzionario dell'Università di Roma Tor Vergata. Studioso di storia medioevale, storia contemporanea e storia della pubblica amministrazione, si è dedicato in particolare alla storia della scuola e dell'università. Tra le sue pubblicazioni "Ungaretti e il fascismo", in "Annali della Fondazione
Spirito" (2006). Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero