"Città stadio": un viaggio tra i quartieri inglesi e la storia del calcio

"Città stadio": un viaggio tra i quartieri inglesi e la storia del calcio
Lo stadio è anche business. Moltiplica gli indotti, genera profitti, richiama gli sponsor. Da anni ormai il calcio italiano sta provando a esplorare una frontiera nuova con...

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Lo stadio è anche business. Moltiplica gli indotti, genera profitti, richiama gli sponsor. Da anni ormai il calcio italiano sta provando a esplorare una frontiera nuova con gli impianti di proprietà e sono lì a dimostrarlo i tanti progetti impantanati nelle sabbie mobili della burocrazia e dell’immobilismo. Per ultimo, il progetto abortito dalla Roma a Tor di Valle, dopo una lunga e travagliata gestazione. Sullo sfondo rimane il tifoso, per lui lo stadio è una seconda casa: la vive e la anima, racchiude al suo interno tutti i ricordi, in senso materialistico remunera anche gli investimenti dei presidenti. Qualcuno minaccia e progetta di costruirlo altrove, ma c’è chi è riuscito a rifarsi il look senza cambiare casa, restando ancorato al quartiere e alle tradizioni di sempre. Come hanno fatto Udinese e Atalanta, come stanno combattendo per farlo Fiorentina e Bologna o spostandosi qualche metro più in là, come Inter e Milan nella zona di San Siro.

Una strada maestra all’inglese, dove in tante città quartiere e stadio resistono, in simbiosi, uno dentro l’altro. Lo racconta Giorgio Coluccia nel libro Città Stadio (Absolutely Free Editore, prefazione di Roberto Gotta e postfazione di Paolo Avanti), un viaggio in Inghilterra alla caccia di impianti secolari, che dal proprio grembo non se ne sono mai andati. Ashton Gate a Bristol (1887), Portman Road a Ipswich (1884), Old Trafford a Manchester (1909), St James' Park a Newcastle (1892), Highbury a Londra (1913), fantasma che gronda ricordi e aleggia sul suo sfarzoso successore, e la doppietta di Nottingham, dove a soli 275 metri di distanza ci sono City Ground (1878) e Meadow Lane (1910). 

Sono novanta minuti di trasporto ed eccitazione, ma quelli che contano restano sempre i prossimi. Lo sanno perfino i muri dello stadio, di quella casa che ha ospitato tifosi, giocatori, delusioni e momenti epici con la passione incrollabile come denominatore comune. Perché uno stadio non vuol dire solo calcio. È componente fondamentale di tutto l’intero quartiere, e con il passare del tempo finisce per esserne plasmato, identificato con le origini della propria gente e con tutto ciò che lo circonda. Ognuno con tante storie, molteplici sfaccettature, infiniti modi di essere. Però un filo invisibile è capace di legarli tutti quanti assieme. Allora, che il viaggio cominci.

 

Città Stadio
Giorgio Coluccia


Absolutely Free Editore, 164 pp., 15€   Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero