Trieste, uccide il compagno e lascia il cadavere in un sacco in terrazzo: «Non mi lasciava tornare nel mio paese»

Donna uccide il convivente e mette il cadavere in un sacco: lui non voleva che tornasse nel suo paese
Lei voleva tornare nel suo paese, in Ucraina, mentre lui si opponeva. Per questo motivo la donna avrebbe ucciso il convivente, probabilmente al culmine di una lite violenta, e poi...

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Lei voleva tornare nel suo paese, in Ucraina, mentre lui si opponeva. Per questo motivo la donna avrebbe ucciso il convivente, probabilmente al culmine di una lite violenta, e poi chiuso il suo corpo in un sacco nero per l'immondizia. Il cadavere è stato poi lasciato sul balcone per diversi giorni, prima della macabra scoperta della polizia a Trieste. È la ricostruzione della morte di Libero Foti, fatta dalla Squadra mobile di Trieste coordinata dalla Procura della Repubblica, che ha indagato la donna per omicidio.


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Le indagini avrebbero accertato che la morte risalirebbe al 12 ottobre scorso quando, intorno alle cinque del mattino, la coppia avrebbe litigato, come testimoniato anche dai vicini di casa, in via del Veltro. Forse lui l'ha aggredita con un coltello, lei si è difesa colpendolo alla testa con una bottiglia, poi lo ha soffocato con il sacchetto di plastica e infine colpito con una lama al collo e a una mano.

Una volta morto l'uomo, la donna ne avrebbe chiuso il corpo in sacchi di plastica nera, la testa in un altro sacco, li avrebbe portati sul balcone, al terzo piano, e li avrebbe avvolti in una coperta. È stato sul balcone che il successivo 2 novembre gli agenti, coadiuvati dai vigili del fuoco, allertati dai vicini che non vedevano la coppia da giorni, hanno trovato il cadavere. Come avrebbero accertato le indagini, coordinate dal titolare dell'inchiesta, il pubblico ministero Federico Frezza, la donna sarebbe partita per l'Ucraina, dove tutt'oggi si troverebbe, peraltro affetta da una malattia molto grave.

La donna ha confessato. La donna avrebbe confermato al pm titolare del fascicolo e agli investigatori della squadra Mobile giuliana nel corso di una telefonata di «avere ucciso il suo compagno», specificando di «avere agito per respingere dei tentativi dell'uomo di colpirla con un coltello poiché si opponeva alla sua partenza». L'episodio si sarebbe svolto intorno alle 5 del 12 ottobre scorso. Dopo avere «colpito l'uomo in testa con una bottiglia», sempre in base a quanto riferito dalla polizia di Stato, lo avrebbe «soffocato, chiuso in alcuni sacchi neri e, dopo averlo avvolto in alcune coperte per poterlo meglio spostare sul pavimento», lo avrebbe «sistemato sul poggiolo», dove il corpo è stato scoperto il 2 novembre in seguito alla segnalazione di alcuni condòmini dello stabile che - riferisce la Questura - non avevano notizie dell'uomo da diversi giorni. Una volta giunti sul posto, gli agenti della Volante con l'ausilio dei vigili del Fuoco avevano raggiunto il balcone dell'appartamento al terzo piano «scoprendo sul pavimento del poggiolo, accostato al parapetto,  la sagoma di un corpo umano, avvolto in una coperta». Queste dichiarazioni - riferisce ancora la Questura - sarebbero state «ribadite» dalla donna in una successiva «chiamata alla presenza del legale di fiducia, del Pubblico Ministero e della Polizia Giudiziaria».


Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, tutto sarebbe avvenuto «al culmine di una lite scaturita per il divieto opposto dalla vittima» al fatto che «la convivente partisse per il suo paese d'origine». Ipotesi, quella della discussione, che sarebbe stata supportata dall'analisi della scena del crimine effettuata anche grazie all'ulteriore sopralluogo svolto dal Gabinetto Interregionale della Polizia Scientifica di Padova che - riporta ancora la nota - «aveva consentito di repertare tracce di sangue rilevate con le luci forensi». Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Trieste - diretta da Carlo Mastelloni - e svolte dagli agenti della squadra Mobile giuliana, avrebbero quindi «consentito di fare luce sul fatto di sangue» e avrebbero «individuato nella compagna della vittima l'autrice del delitto». «Considerato che la donna potesse essersi recata nella città di Čerkasy, in Ucraina» e che avesse manifestato a più persone «la volontà di raggiungere la figlia», le forze dell'ordine - per il tramite del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale di Roma - avevano potuto localizzarla nella località ucraina, «dove tuttora risiede».
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Il Messaggero