Rigopiano, carabinieri prosciolti: sotto accusa finisce la polizia

L'ipotesi del pareggio in questa partita non era contemplata. La vittoria dei carabinieri forestali, nello scontro tra gli investigatori pescaresi impegnati nelle indagini...

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L'ipotesi del pareggio in questa partita non era contemplata. La vittoria dei carabinieri forestali, nello scontro tra gli investigatori pescaresi impegnati nelle indagini sulla tragedia di Rigopiano, si traduce però in una autentica debacle per l'ex capo della squadra mobile Pierfrancesco Muriana, che vede finire in archivio le accuse di falso rivolte ai colleghi con gli alamari e si ritrova a sua volta indagato per favoreggiamento del depistaggio delle indagini, con all'orizzonte la probabile contestazione aggiuntiva di calunnia.


Lo rivela nel suo provvedimento il gip Elio Bongrazio, che ha accolto in pieno le richieste dei pubblici ministeri Anna Rita Mantini e Salvatore Campochiaro: «È già all'attenzione dell'autorità inquirente l'operato del personale della squadra mobile inerente la delega impartita il 23 gennaio 2017». Tutto ruota intorno a una notizia chiave per le indagini, la telefonata con la richiesta di soccorso che un cameriere dell'albergo fece la mattina del 18 gennaio 2017, cinque ore prima della valanga, rimasta nascosta alla Procura della Repubblica per quasi due anni.

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È, insomma, l'ora zero della sciagura costata la vita a 29 persone e lesioni varie agli 11 superstiti; il momento dal quale far partire il ritardo delle varie autorità pubbliche nella focalizzazione del problema e nell'avvio delle operazioni di soccorso. La principale nuvola di polvere da far sparire sotto il tappeto. A novembre scorso, in seguito a un interrogatorio di alcuni avvocati difensori, Muriana segnalò ai Pm di Pescara la falsificazione della mail inviata dal suo ufficio ai forestali il 27 gennaio 2017: il documento conteneva l'annotazione di servizio dell'agente Clementino Crosta, che apprese da una testimone la telefonata del cameriere D'Angelo, mai registrata nei brogliacci.
 

LA DIFESA
Le alterazioni informatiche, secondo il poliziotto, avrebbero coperto l'omissione dei forestali, che informarono la Procura della cosiddetta telefonata fantasma soltanto il 12 novembre 2018, dopo che il caso fu svelato da un'inchiesta della Rai. L'archiviazione delle accuse contro tre carabinieri, il tenente colonnello Annamaria Angelozzi, il maresciallo Carmen Marianacci e l'appuntato Michele Brunozzi, si risolve però in un boomerang per l'ex capo della mobile.
 

Sulla base di una perizia informatica e dell'interrogatorio degli indagati, i magistrati ritengono insussistente l'accusa di falso materiale escludendo il dolo anche nell'ipotesi di falso ideologico: in base alla delega di indagine ricevuta in condominio, è il ragionamento, i carabinieri avevano legittimamente ritenuto che spettasse alla polizia informare la procura su quanto scoperto dall'agente Crosta. La tardiva iniziativa dei forestali, che comunque si attivarono 22 mesi dopo l'informativa ricevuta dalla squadra mobile, è stata infine valutata dai magistrati come semplice errore.


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LA POSTA IN PALIO
Sembra una querelle tra investigatori. È invece un punto di snodo decisivo nel filone relativo al depistaggio delle indagini, che vede indagati il prefetto dell'epoca Francesco Provolo e altri dirigenti di palazzo del governo. Sono gli uffici dove fu la squadra mobile a bussare, in base alla delega della Procura, alla ricerca, fra l'altro, dei brogliacci di segnalazioni e richieste di aiuto. E invece, rimarca severamente il gip nel decreto di archiviazione, «nella corposa informativa che ne seguiva non è fatta menzione di quanto il suo estensore aveva appreso dall'agente Crosta, circa un mese prima, come invece sarebbe stato opportuno ai fini dell'indagine».


Conclusione che ricalca il tenore di un contro esposto presentato contro Muriana da uno dei carabinieri prosciolti, ponendo più di un punto interrogativo sull'atteggiamento morbido della squadra mobile nei confronti di un'altra articolazione del Viminale. Veleni destinati a intossicare il processo madre che stenta ancora a decollare.
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Il Messaggero