I rifiuti di plastica in mare diventano pezzi da museo: esposizione virtuale dei reperti per sensibilizzare sull’inquinamento

Gli oggetti trovati ricostruiscono la storia commerciale dell’Italia dagli Anni Settanta

I rifiuti di plastica in mare diventano pezzi da museo: esposizione virtuale dei reperti per sensibilizzare sull’inquinamento
Le braccia tese, ancora aperte all'abbraccio, sempre accoglienti, come se nulla fosse cambiato. Il volto cancellato, la superficie, un tempo morbida, oggi indurita e facile a...

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Le braccia tese, ancora aperte all'abbraccio, sempre accoglienti, come se nulla fosse cambiato. Il volto cancellato, la superficie, un tempo morbida, oggi indurita e facile a rompersi. E il profumo di gomma, dolciastro, tipico dei giochi dei bimbi, ormai totalmente perduto, sostituito da sentori di sale e polvere, di tempo passato e memorie perdute. C'è anche un pupazzo della serie dei Barbapapà, datato 1974, tra gli oltre cinquecento reperti restituiti dal mare, oggetto di Archeoplastica, progetto di educazione e sensibilizzazione sull'inquinamento da plastica nel mare, che dalle spiagge corre online, tra sito e social, a raccontare i frutti di giornate di raccolta collettiva effettuate da volontari sulle coste italiane dal 2018. E, di fatto, a ricostruire la storia commerciale del Paese, prodotto su prodotto.

 

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I REPERTI
«Un accanito raccoglitore di plastiche spiaggiate», si definisce l'ideatore Enzo Suma, che ha creato un museo virtuale, dove osservare i reperti e organizza anche mostre, nelle scuole e non solo, per ricordare chi eravamo e riflettere su chi siamo - più ancora, su chi vogliamo essere - oggi. Bottiglie, contenitori di ogni forma, giocattoli: il mare ha fatto tesoro di oggetti perduti o gettati e ora li restituisce, onda su onda, quasi ne fosse saturo, a sollecitare gli animi. E a farsi memoria di più produzioni, tra costume e consumo. Molte delle cose rinvenute, infatti, sono scomparse dal mercato da anni, perfino decenni, eppure, più o meno intatte, sono ancora vive, ben riconoscibili. «Quello che raccolgo - dice ancora Suma - è il risultato del nostro sistema di consumo». Ecco allora contenitori di creme solari - iconica la Coppertone anni Sessanta - con molta probabilità, terminati e abbandonati in spiaggia. Dello stesso decennio, la Miniball Eldorado, contenitore a forma di pallone che racchiudeva un gelato cioccolato e vaniglia, che all'epoca costava cento lire. E una bottiglia di Pulivetro a forma di gufo. Non manca un tappo con il marchio Moplen, che potrebbe essere addirittura della fine degli anni Cinquanta.

 

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LA STORIA


Dagli anni Settanta, la crema Nivea, che si vendeva a 800 lire, il detersivo per i piatti Last che ne costava 280. Poi, la pipa gelato a forma di pagliaccio o cane, ambitissima dai bambini negli anni Ottanta, perché, finito il gelato - era alla vaniglia - si poteva usare per bere, fare le bolle di sapone e, perché no, come formina per la sabbia. O lo sparacaramelle, con l'apertura modellata su personaggi da fumetto. E così via, dalla prima versione della crema Johnson al Vetril, dal caffè Suerte alla scheda telefonica anni Novanta da diecimila lire, per salutare amici o partner quando si era in vacanza e il telefono pubblico era l'unico strumento per sentirsi vicini. Decenni di storia del costume - anche del mal costume - conservati dal mare. Come quel piccolo Barbapapà, appunto, più precisamente Barbazoo, personaggio che proteggeva la natura, le cui storie hanno addormentato molti bimbi, ma risvegliato evidentemente meno coscienze.
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Il Messaggero