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Si presentava senza invito e senza preavviso, mettendo in forte imbarazzo la figlia di fronte agli amici, ai compagni di classe, ai professori. Secondo i magistrati, in questo modo avrebbe procurato alla ragazzina uno stato di ansia e di angoscia. Un atteggiamento persecutorio che, per la Cassazione, ha un nome: stalking. Per questo motivo i supremi giudici hanno confermato la condanna per atti persecutori nei confronti di un padre separato che per anni avrebbe assillato la figlia, con la quale aveva un rapporto molto conflittuale. A nulla sono valse le giustificazioni del genitore, che ha spiegato in aula di non avere mai voluto creare ansia alla giovane - all'epoca minorenne -, ma di avere cercato di svolgere la sua funzione di padre e di ricucire il rapporto con la ragazza. Per i magistrati, però, lo avrebbe fatto con atteggiamenti troppo assillanti, senza rispettare la vita e la volontà della figlia.
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IL RISARCIMENTO
La Cassazione ha così confermato la decisione di secondo grado che, tra l'altro, condannava il genitore a pagare un risarcimento da 20mila euro.
I giudici d'appello avevano definito le modalità di approccio del genitore «disturbanti e persecutorie, caratterizzate da una tale ripetitività e assenza d'interesse per gli stati d'animo della figlia (si pensi alle irruzioni nelle occasioni conviviali o sportive coinvolgenti quest'ultima), tanto da generare un evidente turbamento di quest'ultima». La ragazza ha descritto in aula «sentimenti di vergogna e di estremo imbarazzo, ma anche di paura per l'imprevedibilità del genitore, al quale aveva direttamente rappresentato il disagio che le sue condotte ossessive le provocavano». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero