Quante volte comprare un oggetto usato vuol dire poi ritrovarselo difettoso e rotto senza poterci fare niente. Bene, ora la seconda sezione civile della Corte di Cassazione,...
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I supremi giudici hanno ritenuto che debba valere la presunzione contenuta nell'articolo 132 terzo comma del Codice del consumo, secondo il quale i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna si presumono già esistenti. In tema di compravendita, quindi, la disciplina prevista dal Codice civile avrà carattere sussidiario rispetto a quella stabilita dal Codice di consumo (D.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005), che sarà applicato in maniera prioritaria sussistendone i presupposti.
La sentenza presa in esame fa riferimento alla compravendita di un'auto usata.
Il Tribunale di Larino, sezione distaccata di Termoli, così come il successivo appello, avevano dato ragione alla società e avevano stabilito che i difetti si erano manifestati dopo tre mesi e che l'auto era stata regolarmente controllata prima della vendita. Insomma che non c'era molto da insistere. Il compratore, però, ha ritenuto di dover presentare ricorso in Cassazione, basandolo proprio sull'erronea applicazione della disciplina del contratto di vendita al posto di quella del Codice di consumo, e dell'articolo 130 dove prevede la responsabilità del venditore in caso di difetto di conformità.
E i supremi giudici hanno stabilito che aveva ragione, perché in materia di compravendita il legislatore mostra una preferenza netta per le norme del Consumo, che vengono applicate in maniera prioritaria. Al compratore spettava il compito di denunciare i vizi entro sei mesi, e quello in questione aveva sollevato il problema dopo sessanta giorni. A quel punto - secondo gli ermellini - il fatto che l'auto fosse stata controllata prima della vendita non era sufficiente perché, al contrario, la legge stabilisce che spetta al venditore provare che la vettura era in regola e funzionante. Ragione per cui il ricorso è stato accolto, e la Cassazione ha rinviato alla Corte d'appello per le spese del giudizio di legittimità.
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Il Messaggero