Ha chiesto di incontrare il giudice che segue a Mestre il caso della figlia, dichiarata adottabile dal Tribunale dei minori, ma prima ancora di ricevere risposta è tornata...
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Dalla relazione dei giudici affiora una storia di disagio materiale e morale, di malattia psichica e dipendenza. Un contesto familiare materno e paterno ritenuto non idoneo per la crescita della ragazzina. Per la donna l'unico responsabile della situazione era l'uomo con il quale aveva concepito la figlia. Non a caso nel cartello lasciato accanto alla tanichetta di liquido infiammabile con il quale si è lasciata bruciare ha riportato le generalità dell'ex compagno, comprese la professione e la residenza. Poche frasi, in un italiano stentato, per puntare l'indice contro «un tipo di padre che ha violentato l'infanzia» della bambina.
«Ha fatto il massimo - si legge sempre nel cartello accusatorio - per allontanare la piccola e mandarla in comunità: che vergogna». «È venuta in cancelleria chiedendo di parlare con il giudice assegnatario del fascicolo, quindi ha chiesto di avere copia degli atti - ricostruisce la presidente del Tribunale dei minori Maria Teresa Rossi - e, senza attendere che le venisse consegnato quanto richiesto, è uscita dal palazzo - .Dopo è tornata sul piazzale antistante il palazzo di giustizia minorile, si è cosparsa di sostanza infiammabile e si è data fuoco».
Per Marco Griffini, presidente di Ai.Bi.,Amici dei Bambini, organizzazione nata da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, quanto avvenuto richiede «ogni sforzo per riportare la serenità nei rapporti fra istituzioni e famiglie in difficoltà». «La nostra proposta di istituire l'avvocato del minore - conclude - figura terza rispetto agli interessi dell'uno o dell'altro genitore ma anche rispetto al contesto istituzionale non può più essere rinviata».
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Il Messaggero