Coronavirus Milano, lo strano silenzio nel reparto Alzheimer del Trivulzio: «I pazienti parlano con gli occhi: salvateci»

Per chi lavora al Trivulzio, entrare in alcuni reparti è un colpo al cuore. «Ieri mi ha telefonato una collega di 63 anni. E' una operatrice sanitaria forte di...

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Per chi lavora al Trivulzio, entrare in alcuni reparti è un colpo al cuore. «Ieri mi ha telefonato una collega di 63 anni. E' una operatrice sanitaria forte di carattere, esperta. Eppure piangeva come una ragazzina», dice una dipendente della Baggina. L'infermiera si occupa del reparto Alzheimer, settore nel quale per l'indole degli ospiti c'è sempre confusione: parlano, raccontano storie, sono vivaci. «Ora mi sembra di entrare in una camera mortuaria - riferisce sconfortata - I pazienti ci guardano dai loro letti con gli occhi spaventati, ci chiedono aiuto».


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COLOMBINE ESAURITE
Una settimana fa a quei pazienti sono state distribuite le mascherine: «Non le hanno fornite a noi, che venendo dall'esterno avremmo potuto contagiarli. Le hanno date a loro. Quando sono entrata in reparto non credevo ai miei occhi: se le scambiavano, per loro si trattava di un gioco». Il Trivulzio, da struttura efficiente e qualificata per l'assistenza agli anziani, si è trasformato in un luogo di dolore. «L'unico reparto dove ci sono tanti decessi è l'hospice, il settore per le cure palliative - spiega un dipendente - Nella camera mortuaria le bare sono sparse ovunque. Prima tra una e l'altra venivano messi dei divisori, affinché i parenti potessero salutare per l'ultima volta il loro caro. Oggi non ci sono più: i parenti non possono entrare e bisogna guadagnare spazio. Ci sono feretri in chiesta, nella cappella di fronte. Hanno chiuso tutto, è inaccessibile. E i carri funebri aspettano in fila». Come riferisce un'operatrice sanitaria, «l'aumento dei morti si nota. Un mio collega di turno di notte mi ha raccontato un giorno che non c'erano più colombine. Le colombine sono quei lettini di ferro con le ruote e una cupola usati per coprire le salme. Erano esaurite. Fa impressione».

BOLLETTINI VAGHI

Per questa dipendente «c'è stata sottovalutazione, magari lo hanno fatto per non allarmare o perché temevano qualcosa, non so. Ma chi ha sbagliato che paghi». L'epidemia, dice, «per come è entrata non finirà facilmente. Al Pio Albergo Trivulzio i provvedimenti sono stati presi troppo tardi. Era già marzo. Le mascherine non ce le facevano mettere per non allarmare i pazienti e i loro parenti. La dirigente ha negato, ma io che ero in servizio in quei giorni vedevo che le caposala passavano nei reparti e verificavano chi aveva la mascherina e ce la facevano togliere. È stata sottovalutata l'emergenza Covid. Questa parola, fino a marzo inoltrato, non è comparsa in maniera chiara nei bollettini quotidiani che ci facevano firmare per presa visione». All'inzio, riflette, «i bollettini erano molto vaghi. Poiché i tamponi non si fanno, non si sapeva se i sintomi fossero riconducibili al Covid, non si sapeva perché alcuni ospiti fossero morti». E le procedure funzionavano al contario. «In un reparto c'erano due pazienti che non stavano bene. Ci è stato detto che le mascherine servivano a loro, che erano lì da un mese, non agli operatori. Una follia. Non si proteggeva né loro né noi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero