Fase 2, le aziende di trasporto: «Impossibile il distanziamento sui mezzi pubblici»

Impossibile far rispettare il distanziamento sociale per il coronavirus sui mezzi pubblici come richiesto dal Governo. Lo si legge in una lettera dei presidenti di Agens e Asstta...

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Impossibile far rispettare il distanziamento sociale per il coronavirus sui mezzi pubblici come richiesto dal Governo. Lo si legge in una lettera dei presidenti di Agens e Asstta al ministro dei Trasporti Paola De Micheli. «Il distanziamento ipotizzato di 1 metro per la Fase 2 limita la capacità del sistema dei trasporti di persone al 25-30% del numero di passeggeri trasportati in condizioni di normalità», spiegano i presidenti Arrigo Giana (Atm Milano) e Andrea Gibelli (Ferrovie Nord Milano).


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Secondo Giana e Gibelli il limite deciso dal governo «riguarderebbe sia la capienza dei veicoli, sia quella dei luoghi di attesa dei mezzi, siano essi stazioni o fermate di superficie» e di conseguenza «l'offerta di trasporto sarebbe assolutamente insufficiente, anche a fronte di una domanda che, prevedibilmente, sarà inferiore rispetto alla situazione pre-emergenza COVID-19». Il vincolo di un metro potrebbe inoltre generare «sovraffollamento a ridosso delle aree di attesa delle stazioni e alle fermate, ottenendo un effetto contrario a quello desiderato» con «assembramenti non controllabili e pericolosi per la salute delle persone» oltre che «potenziali problemi di ordine pubblico». Per questi motivi il direttore generale di Atm Milano e il presidente di Ferrovie Nord chiedono al ministro di mantenere solo il «criterio incardinato sull'obbligo di utilizzo delle mascherine da parte degli utenti, rigorosamente applicato, coerentemente, peraltro, a quanto disposto nel protocollo generale per la riapertura delle imprese».

 

I due manager chiedono poi «semplificazioni amministrative» indispensabili alle imprese operanti per consentire alle imprese di trasporto «intervenire con tempestività per adeguare e, ove necessario, diversificare l'offerta dei servizi di trasporto pubblico preservando, per ragioni di omogeneità anche sanitaria, la logica della 'retè». Infine, secondo Giana e Gibelli, «qualunque sarà la scelta adottata, è essenziale garantire l'equilibrio economico-finanziario dei contratti assicurando l'integrale ristoro dei minori ricavi e dei maggiori costi gravanti sulle aziende». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero