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La chiameremo Rosa ma non è il suo vero nome. È un talento emergente della scherma mondiale, gareggia con la sciabola e la maglia dell’Uzbekistan ma è originaria di un altro Stato. All’attivo ha già un medagliere incredibile. Fino all’agosto scorso, ad appena diciassette anni, era al primo posto nella classifica mondiale della sua categoria. Una fuoriclasse. La scorsa estate ha partecipato anche ai Mondiali, all’Allianz Convention Centre di Milano, che mettevano in palio punti importanti per la qualificazione ai Giochi Olimpici di Parigi. Ma proprio in Italia la gioia di vivere e di competere di Rosa è precipitata in un baratro senza fine, nell’incubo di una violenza sessuale di gruppo. Uno stupro brutale, organizzato da tre atleti che si sono trasformati in belve. Tutto accade la notte tra il 4 e il 5 agosto a Chianciano Terme dove la ragazza è in ritiro assieme agli atleti della Federazione italiana scherma. Maschi e femmine insieme. Una mattina Rosa si risveglia intontita, incapace di parlare, piena di dolori ovunque, con lividi e ferite alle gambe. È talmente stordita da non ricordare più niente. Il buio.
Campionessa di scherma stuprata, la ricostruzione
Vorrebbe alzarsi ma non ci riesce. Nella stanza con lei ci sono ancora tre ragazzi, sono tutti atleti della nazionale azzurra junior. Uno è sdraiato su di lei, un altro si sta rivestendo, il terzo le dorme accanto, nudo. I primi due fanno battute sessuali esplicite e ridono sguaiatamente. Rosa riesce ad alzarsi a fatica con fitte indescrivibili, ogni movimento è un dolore intenso. Raccoglie le forze e riesce a trascinarsi nella sua stanza, dove crolla. Qui viene soccorsa dalla compagna, un’altra atleta con la quale divideva la camera.
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Codice rosso
«Ho inviato diverse Pec e sono andato nella sede della Federazione per incontrare il presidente ma non mi ha ricevuto. Ho parlato con la segretaria. Le indagini alla Procura sono in corso ma di provvedimenti cautelari, anche qui, nemmeno uno», spiega il legale. E il Codice Rosso che imporrebbe al magistrato di intervenire velocemente e vietare l’avvicinamento degli indagati ai luoghi frequentati dalla persona offesa? «Pare evidente che non sia stato applicato». Rosa da mesi è così costretta a gareggiare con il rischio di trovarsi gli indagati davanti: «Un’ulteriore sofferenza e un’umiliazione inaccettabile». La vittimizzazione secondaria, insomma. «E pensare che la mia assistita non è nemmeno stata sentita». In una memoria alla Procura l’avvocato già a ottobre segnalava questo rischio. Rosa sovrastata dal dolore, ancora sotto choc, ha già dovuto saltare alcune gare con effetti negativi per i risultati sportivi e il suo futuro. Il trauma e la paura ogni volta si ripresentano davanti ai due atleti. La madre non si dà pace: «Mia figlia è cambiata, se prima sorrideva alla vita, ora è cupa e ho tanta paura per lei».
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