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Alessandro Venier, come è stato ucciso? La madre: «Gli ho iniettato l'insulina, poi l'ho strangolato con i lacci delle scarpe»

L’infermiera al Gip: «Volevamo narcotizzarlo con un farmaco sciolto nella limonata ma non ha funzionato». Scarcerata la compagna

Alessandro Venier, trovato morto, fatto a pezzi, nella cantina della propria abitazione a Gemona. Social ALESSANDRO VENIER +++ ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI...

di Lorenzo Padovan

domenica 3 agosto 2025 Ultimo aggiornamento 00:33

«Quella sera c’è stata tensione e abbiamo litigato. Sia per la mancata preparazione della cena, sia perché mi ero rifiutata di accompagnarli in aeroporto, il giorno dopo....
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«Quella sera c’è stata tensione e abbiamo litigato. Sia per la mancata preparazione della cena, sia perché mi ero rifiutata di accompagnarli in aeroporto, il giorno dopo. Forse per questo, non si è insospettito dalla limonata che gli abbiamo servito. Era piena di farmaci, servivano per neutralizzarlo». Il racconto di Lorena Venier, l’infermiera di 61 anni che ha ucciso e fatto a pezzi il figlio, è scrupoloso. È la cronaca di un omicidio pianificato nei dettagli da settimane, da quando cioè Alessandro aveva acquistato i biglietti per la Colombia, per un viaggio senza ritorno. Sul 35enne pendeva una condanna che stava per diventare esecutiva e che gli avrebbe impedito l’espatrio, dopo una serie di piccoli reati commessi in tempi diversi. «Abbiamo atteso a lungo che i sedativi contenuti nella bevanda facessero effetto - ha proseguito la mamma - A un certo punto stavamo per entrare in azione quando lui si è ridestato, è tornato reattivo. Allora ho preso una fiala di insulina e gliel’ho iniettata in vena. È caduto in un sonno profondo. È in quel momento che abbiamo provato a soffocarlo a mani nude. Abbiamo insistito a lungo, ma respirava ancora. È stata Mailyn ad avere l’idea di usare qualcosa che ci permettesse di stringere più forte. Ha preso i lacci delle sue scarpe e lo ha finito».

IL PIANO
Solo molto più tardi è iniziata la fase di sezionamento, una procedura necessaria per avere qualche chance di far sparire il corpo e farla franca. C’era anche la circostanza favorevole che Alessandro aveva annunciato al mondo intero che se ne sarebbe andato in Sudamerica per sempre. Nessuno lo avrebbe cercato se le due donne fossero state in grado di eliminare ogni traccia. «Abbiamo preso un seghetto e lo abbiamo mutilato, per riuscire a trasportarlo nell’autorimessa. Lì lo abbiamo coperto con la calce che avevo acquistato giorni prima su Amazon. Ci serviva del tempo per avere l’occasione giusta per spostare il corpo altrove». Il disegno criminale si è infranto sullo scarsissimo equilibrio psicofisico di Mailyn - colpita anche da depressione post parto - che giovedì mattina ha chiamato il 112 e si è costituita. «Non avevamo alternative - ha spiegato la suocera al pm - se l’avesse portata in Colombia, l’avrebbe certamente uccisa. Le violenze domestiche erano sempre più frequenti. Se l’aveva ridotta in quelle condizioni nella casa dove c’ero io, figuriamoci cosa le sarebbe accaduto senza la mia seppur scarsa protezione. Bisognava mettere al sicuro Mailyn e prima ancora la bambina, il cui futuro sarebbe stato segnato».

L’ARRESTO
Ieri mattina, dopo aver ascoltato la macabra ricostruzione dell’accaduto, il gip del Tribunale di Udine, Mariarosa Persico, ha convalidato l’arresto per entrambe le indagate e ha disposto la custodia cautelare in carcere per Lorena Venier. Per Mailyn Castro Monsalvo, accogliendo l’istanza della difesa, patrocinata dall’avvocata Federica Tosel, ha disposto la custodia attenuata per detenute madri di prole inferiore a un anno, prevista dalla legge in vigore dall’aprile scorso. Ma la donna non potrà per il momento prendersi cura della bimba avuta dalla vittima: le sue condizioni psicofisiche non sono state giudicate idonee. Mentre la mamma sarà trasferita all’Icam di Venezia (Istituto a Custodia Attenuata per Madri) ospitato all’interno del carcere femminile, in una parte separata del medesimo edificio collocato nell’isola della Giudecca, la bimba resta in una struttura protetta individuata dai Servizi sociali di Gemona.

LA SOLIDARIETÀ
Per la piccola sono arrivate richieste di affido da tutta Italia: «Fa piacere sapere che c’è stata una straordinaria mobilitazione di persone che hanno contattato il Comune di Gemona mettendosi a disposizione per l’eventuale affido della neonata, ma ci sono i nonni e la zia, in Colombia, che si possono eventualmente prendere cura di lei», ha fatto sapere Tosel. «Nelle scorse ore ho già preso contatto con la famiglia della mia assistita - ha aggiunto - i genitori di Mailyn sono due persone ancora giovani e hanno anche un’altra figlia già adulta. Ci metteremo, dunque, in contatto con il Tribunale dei Minori di Trieste per favorire le pratiche di affido della piccola ai suoi parenti colombiani qualora gli sviluppi dell’inchiesta lo rendessero necessario».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Messaggero

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