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«Quella sera c’è stata tensione e abbiamo litigato. Sia per la mancata preparazione della cena, sia perché mi ero rifiutata di accompagnarli in aeroporto, il giorno dopo. Forse per questo, non si è insospettito dalla limonata che gli abbiamo servito. Era piena di farmaci, servivano per neutralizzarlo». Il racconto di Lorena Venier, l’infermiera di 61 anni che ha ucciso e fatto a pezzi il figlio, è scrupoloso. È la cronaca di un omicidio pianificato nei dettagli da settimane, da quando cioè Alessandro aveva acquistato i biglietti per la Colombia, per un viaggio senza ritorno. Sul 35enne pendeva una condanna che stava per diventare esecutiva e che gli avrebbe impedito l’espatrio, dopo una serie di piccoli reati commessi in tempi diversi. «Abbiamo atteso a lungo che i sedativi contenuti nella bevanda facessero effetto - ha proseguito la mamma - A un certo punto stavamo per entrare in azione quando lui si è ridestato, è tornato reattivo. Allora ho preso una fiala di insulina e gliel’ho iniettata in vena. È caduto in un sonno profondo. È in quel momento che abbiamo provato a soffocarlo a mani nude. Abbiamo insistito a lungo, ma respirava ancora. È stata Mailyn ad avere l’idea di usare qualcosa che ci permettesse di stringere più forte. Ha preso i lacci delle sue scarpe e lo ha finito».
IL PIANO
Solo molto più tardi è iniziata la fase di sezionamento, una procedura necessaria per avere qualche chance di far sparire il corpo e farla franca.
L’ARRESTO
Ieri mattina, dopo aver ascoltato la macabra ricostruzione dell’accaduto, il gip del Tribunale di Udine, Mariarosa Persico, ha convalidato l’arresto per entrambe le indagate e ha disposto la custodia cautelare in carcere per Lorena Venier. Per Mailyn Castro Monsalvo, accogliendo l’istanza della difesa, patrocinata dall’avvocata Federica Tosel, ha disposto la custodia attenuata per detenute madri di prole inferiore a un anno, prevista dalla legge in vigore dall’aprile scorso. Ma la donna non potrà per il momento prendersi cura della bimba avuta dalla vittima: le sue condizioni psicofisiche non sono state giudicate idonee. Mentre la mamma sarà trasferita all’Icam di Venezia (Istituto a Custodia Attenuata per Madri) ospitato all’interno del carcere femminile, in una parte separata del medesimo edificio collocato nell’isola della Giudecca, la bimba resta in una struttura protetta individuata dai Servizi sociali di Gemona.
LA SOLIDARIETÀ
Per la piccola sono arrivate richieste di affido da tutta Italia: «Fa piacere sapere che c’è stata una straordinaria mobilitazione di persone che hanno contattato il Comune di Gemona mettendosi a disposizione per l’eventuale affido della neonata, ma ci sono i nonni e la zia, in Colombia, che si possono eventualmente prendere cura di lei», ha fatto sapere Tosel. «Nelle scorse ore ho già preso contatto con la famiglia della mia assistita - ha aggiunto - i genitori di Mailyn sono due persone ancora giovani e hanno anche un’altra figlia già adulta. Ci metteremo, dunque, in contatto con il Tribunale dei Minori di Trieste per favorire le pratiche di affido della piccola ai suoi parenti colombiani qualora gli sviluppi dell’inchiesta lo rendessero necessario».
Il Messaggero