Pastore fatto a pezzi e gettato in un dirupo, il pianto dell'assassino dopo la confessione

Pastore fatto a pezzi e gettato in un dirupo, il pianto dell'assassino dopo la confessione
Le continue vessazioni, i dispetti, le insistenti minacce. Queste le motivazioni che avrebbero esasperato Michele Cialei fino al punto di diventare un assassino. Il pastore di 54...

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Le continue vessazioni, i dispetti, le insistenti minacce. Queste le motivazioni che avrebbero esasperato Michele Cialei fino al punto di diventare un assassino. Il pastore di 54 anni reo confesso dell’omicidio di Armando Capirchio, l’allevatore di Vallecorsa scomparso dalla sua abitazione il 23 ottobre del 2017, l’altra sera, dopo la confessione, è scoppiato in un pianto liberatorio. Secondo quanto riferito dall’uomo, che si trova detenuto in carcere da circa un anno, si sarebbe trattato di un delitto d’impeto. Quel giorno, su quella montagna dove si erano ritrovati ad accudire i loro animali, c’era stata tra i due l’ennesima discussione. Già l’anno precedente Cialei, a seguito di un’aggressione da parte dell’allevatore, era finito in ospedale. A causa delle lesioni riportate era stato ricoverato nel nosocomio di Frosinone per venti giorni. Una volta dimesso aveva fatto scattare la denuncia.


Il giorno dell’omicidio Capirchio, a detta del pastore, aveva cominciato di nuovo ad accusarlo di sconfinare la zona di pascolo, poi erano arrivati gli insulti e alla fine entrambi avevano alzato le mani. Era stato a quel punto che Cialei, in preda a una rabbia incontrollabile, lo aveva ferito sparandogli con il suo fucile da caccia. Ma la colluttazione era proseguita a colpi di pietra. Armando Capirchio sarebbe morto lapidato. Una volta resosi conto di quello che aveva fatto, Cialei aveva cercato di occultare il cadavere. Il corpo dell’allevatore verrà ritrovato cinque mesi dopo, nel marzo del 2018.


In merito alla decisione del loro assistito di dire la verità e collaborare con la giustizia, gli avvocati difensori Giampiero Vellucci e Camillo Irace hanno dichiarato: «La confessione è una scelta che compete all’imputato e nessun avvocato che si rispetti può impedirla. La confessione è stato un atto sofferto e doloroso arrivato al culmine, durante il quale ha riflettuto in ordine alla vicenda. La confessione è servita per far conoscere all’autorità giudiziaria il motivo per cui una persona tranquilla e rispettata nel paese di Vallecorsa sia arrivata a porre in essere un simile gesto». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero